#1, 1999. LIGAJOVAPELU — IL MIO NOME È MAI PIÙ
Numeri Uno, giugno/luglio/agosto/settembre/ottobre 1999. LIGAJOVAPELU — IL MIO NOME È MAI PIÙ
Numeri Uno è la rubrichetta che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli.
Qui trovate l’elenco di tutte le Numero Uno commentate, anno per anno, in continuo aggiornamento.
IL PIPPONE SOCIALE
Alle scuole medie la cosa che più ci piaceva era quando c’erano degli incontri con gente esterna che veniva a raccontarci cose, che quindi ci faceva fondamentalmente saltare ore di lezione. È quello che succede nel 1999 quando una mattina di inizio estate veniamo portati nell’aula più grande della scuola e, radunati insieme ad altre classi, due volontari ci raccontano di cosa è e come funziona Emergency. È quando passano alle immagini che la gioia di aver bruciato due ore di matematica si trasforma in una sorta di morsa ai confini dello stomaco. È questo quello che succede nel resto del mondo?, anzi, dietro casa nostra? L’unico metro di giudizio utile che abbiamo a disposizione in questo balordo universo è la prospettiva, e vedere come dei ragazzini della nostra età, semplicemente perché devono scontare la colpa di essere nati più a est di noi, stanno affrontando — anzi: subendo — una guerra è a dir poco lacerante. Quantomeno per quelli di noi che ancora non hanno fatto la transizione da bambini a adolescenti.
Uno dei modi migliori per sensibilizzare i ragazzini è la musica. Per questo ne approfittano per parlarci di Il Mio Nome È Mai Più, il pezzo che nel 1999 tenta di scuotere le coscienze degli italiani, i cui proventi finiscono appunto a Emergency. Un po’ per la fama dei suoi autori e interpreti, un po’ per la genuinità del pezzo, Il Mio Nome È Mai Più vende un fantastiliardo di copie e resta primo in classifica per mesi, da giugno a ottobre, per diciassette settimane in totale al vertice, bloccando altri celebrissimi brani.
I motivi, senza nulla togliere alla canzone in sé, sono sociali. L’abbiamo già visto in questi due anni di canzoni osservate a vent’anni di distanza: all’italiano piace il Singolo Dopo La Morte tanto quanto gli piace acquistare il Singolo Per Beneficienza. Intanto gli dà l’idea di aver partecipato al dibattito collettivo con il detersivo migliore per la coscienza, e cioè la moneta; poi, perché se ci va possiamo credere alla favola che internet abbia reso tutti vanitosi e egoriferiti, ma la realtà dei fatti è che l’essere umano ha un pezzo del dna dedicato a questi vizi, e flexare la propria attività benefica è una faccenda che veniva portata avanti da ben prima che fosse inventato Instagram.
O forse è solo il cinismo a parlare dopo vent’anni di "Operazioni Benefiche” i cui proventi finivano quasi sempre nelle tasche sbagliate. In fondo, se così tanti italiani hanno investito le loro diecimila lire — per chi c’era, già sa; per chi non c’era, in teoria sarebbero cinque euro di oggi, ma tra l’inflazione e tutto diciamo dieci euro — forse erano semplicemente un mucchio di brava gente, che desiderava venissero costruiti ospedali e sentendosi coinvolta dai propri idoli in un’operazione giusta ha deciso di sposarla, condividendo quel sentimento di impotenza, quel misto tra fastidio e dolore che si prova nell’essere stufi delle mine, delle bombe, dei campi profughi e di tutti gli altri orrori di cui è abilissimo a fregiarsi l’essere umano.
LA CANZONE
Le guerre jugoslave, e l’intervento della Nato durante la guerra del Kosovo, sono la scintilla che fa partire il progetto LigaJovaPelù. I tre si riuniscono per due terzi (Liga e Jova) a registrare nello studio del primo a Correggio, mentre Pelù registra a Firenze. All’interno del cd singolo, oltre alla strumentale del brano stesso, è inserita una mappa che mostra i 51 conflitti in corso nel 1999 e tutte le zone a rischio bellico.
Nel brano è il basso a farla da padrone, grooveggiando — a volte anche troppo, forse volutamente creando un conflitto con le voci dei tre, o forse è un’impressione dovuta al mio lancinante jet lag — in modo protagonista. Il tappeto armonico sotto al trio è un semplicissimo giro di La minore, che il più simpatico dei dotati di una connessione internet potrebbe sottolineare come sia il giro fondamentale per la carriera di Ligabue, affermazione a cui chiunque potrebbe controbattere «E allora scrivila tu Piccola Stella Senza Cielo». Confesso che ci sono alcune frasi che mi fanno partire il brividino — anche se confesso essere abbastanza notoriamente una bimba di Ligabue, dato che Miss Mondo, per colpa di quel capolavoro di Una Vita Da Mediano, è uno dei primi dischi che ho acquistato in cd.
[Non so, dovremmo parlare di Una Vita Da Mediano? Di come una metafora calcistica non sia mai stata sfruttata così bene dai tempi di De Gregori e fino all’arrivo di Marmellata#25 di Cremonini qualche anno più tardi? Di come nemmeno un videoclip atroce riesca a scalfire la caratura di un brano del genere? Sono io, che sono un romantico innamorato del pallone di un tempo? (Mentre ero in America, da buon possessore di passaporto italiano, pressoché tutti quanti mi hanno chiesto se seguissi il calcio e per che squadra tifassi, al che io ho sempre risposto «Not anymore», al che loro chiedevano «What happened?», al che io rispondevo «I grew up» scuotendo le spalle, perché adesso mi concederò la più banale delle considerazioni, ma il calcio era bello quand’ero piccolo io, e c’era sì il business e il calciomercato e quant’altro, ma c’erano soprattutto i talenti, le maglie sudate e l’amore per la propria squadra invece di questo mecenatismo imperante e — ok, ok, mi fermo prima di sembrare il corrispettivo di quelli che «la musica ai miei tempi era migliore!!!111»).
In maniera abbastanza rocambolesca, tra l’altro, Una Vita Da Mediano è la risposta ai giornalisti che durante la sua carriera l’hanno sempre stroncato e ostacolato, cosa che accade anche — o soprattutto? — con Il Mio Nome È Mai Più. Comunque, un gran, gran pezzo Una Vita Da Mediano.]
Torniamo a LigaJovaPelù. «C'era una volta la mia casa / c'era una volta e voglio che sia ancora» è una cosa che mi spostava pezzi di viscere nel 1999 e lo fa ancora oggi; idem per «C'era una volta il gioco di un bambino.» Il video, a cura di Gabriele Salvatores, anch’esso a disposizione senza compenso per il progetto, è un ulteriore pugno allo stomaco dello spettatore.
IL FUTURO
Che cosa dice, o che cosa ha detto il tempo di lei? È una canzone che è durata? Nessuno dei tre artisti la performa dal vivo. Ed è un peccato. È un peccato perché non è una canzone, immagino, nata per passare alla storia, ma per dire qualcosa in un momento storico specifico. Una presa di posizione che ai giorni nostri non solo nessuno fa, ma nessuno pensa lontanamente di prendersi la briga di fare. Non so, mi viene in mente una guerra in corso in Ucraina, e il totale silenzio con cui viene affrontata. Potremmo aprire un dibattito pressoché della larghezza del Tennessee sul compito dell’artista, e se questo debba includere l’impegnò civile, o politico, ammesso che abbiano una qualche sorta di differenza quando si tratta di Canzoni Che Devono Scuotere La Coscienza O Sensibilizzare. Credo più di tutto che il grosso stia nella desensibilizzazione, lenta e graduale, che l’industria musicale ha condotto (involontariamente) con tantissimi, troppi, Progetti A Scopo Benefico, finendo per intorpidire il pubblico e anzi, rendere a priori antipatica questo tipo di operazione. Tanto che oggi già di partenza come la fai la sbagli, figuriamoci se si tenta di fare un’Operazione Paracula. Che dramma per i curriculum (le pagine Wikipedia sono considerabili i nuovi curriculum? O questo onore spetta alle pagine Instagram?).
Considerando le carriere dei tre, e avendo tra i primi ricordi di Sanremo proprio Jovanotti che canta Cancella Il Debito, verrebbe da pensare che questa canzone sia stata scritta da tre che effettivamente avevano voglia di buttarsi in una cosa che potesse servire a qualcosa. Lo racconta Ligabue stesso nel suo Una Storia, autobiografia egregiamente scritta e uscita recentemente, di come piovvero critiche da qualunque parte politica senza che nessuno ebbe la lucidità di soffermarsi sul messaggio. (Strano, eh?)
Il Mio Nome È Mai Più rimane comunque un pezzo ben scritto, che cambia la prospettiva, passando da quella dei bambini a quella dei soldati, dipingendo un quadro chiaro e ben nitido: nessuno di loro ha una colpa per quello che succede, essendo tutte pedine di un meccanismo ben più grande, e è proprio qui che il brano vuole andare a affondare, colpendo l’idea della guerra in sé, senza nominarne colpevoli o farne una questione politica (difficile e improbabile, viste le tensioni e i conflitti degli anni 90, ma tant’è: anche all’epoca gli addetti stampa cercavano di salvare il salvabile).
IL DISCLAIMER, STAVOLTA AMPLIATO
Vi siete divertiti, eh? Prima delle consuete pagellone, il solito spiegone.
Canzonette è attualmente gratis per chi vuole, e che se anche tu godi nel leggere faccende pop ed extra pop su queste pagine sarebbe fantastico se diffondessi il verbo, e ancora più fantastico se t’abbonassi consentendoci di dedicarci sempre più tempo. In più, per gli abbonati, arriveranno presto: rubrichette inedite e degli episodi di Numeri Uno direttamente da nientemeno che il futuro. Tipo, ne sto scrivendo una su Despacito, una su Lady Gaga e una su Down Down Down delle Lollipop. Vedete voi.
LE PAGELLONE
Il Mio Nome È Mai Più è un 8.
Piccola Stella Senza Cielo è un 9.
Una Vita Da Mediano è un 10.
Marmellata#25 è un 100.