Numeri Uno è la che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli.
Qui trovate l’elenco di tutte le Numero Uno commentate, anno per anno, in continuo aggiornamento.
Numeri Uno è la cugina di quella americana di Tom Breihan, che è la cugina di quella inglese di Tom Ewing.
Nelle classifiche italiane il rap è del tutto assente nel 2001. E se dall’America i segnali di una nuova era dell’hip hop, più accessibile alle masse rispetto ai suoi albori, sono evidenti, nel sottobosco italiano alcuni progetti si fanno strada lentamente verso la fine degli anni 90. Su tutti, Articolo 31 e Sottotono prendono la matrice rap americana e la rendono appetibile per il mercato italiano, ma mai mainsteam. Nelle chart un brano rap rappresenta un’anomalia: figurarsi alla #1 dei singoli più venduti.
Per spiegare il fenomeno Eminem, che dal 1999 quando esordisce con il fulmine-a-ciel-sereno My Name Is emergendo in tutte le classifiche del mondo come Il Rapper Bianco, bisogna partire dagli Stati Uniti.
Dal gennaio 2001 gli Usa vedono l’avvicendarsi di Clinton con Bush; il tessuto sociale del paese è sempre più strutturato gerarchicamente in modo che le classi sociali siano distanti tra loro e, come sempre, la società si riflette nella musica. Il rap prende quota, e così come diventa più popolare il rap che parla in modo crudo, prende quota anche un certo tipo di rap, il gangsta rap: banalmente, quello che finisce per trattare di macchinoni e voglia di fare i dollaroni, piuttosto che quello di denuncia sociale. L’R&B invade le chart, e spesse volte va a fondersi col rap in ibridi che, dalle strofe piene di metrica ai ritornelli più radiofonici, danno vita all’epoca più scintillante in termini di risonanza mediatica del genere.
In tutto questo Eminem è assolutamente unico: non canta, e se lo fa lo fa scimmiottando l’idea del canto; rappa velocissimo, è caustico, velenoso, spesso violento verbalmente, e non le manda a dire a nessuno: racconta del suo passato turbolento, della vita in roulotte, della madre tossicodipendente, delle botte prese; prende in giro lo star system, distruggendo le boy-band e i prodotti teen che, volente o nolente, finiscono a essere i suoi diretti competitor; è tremendamente anti-pop, ma il suo è, inconsapevolmente, il personaggio di un anti-eroe che si rivela perfetto per le geometrie del pop del nuovo millennio.
Eminem è una rockstar di quelle rare: divide l’opinione pubblica coi suoi testi, ma il talent è impossibile da negare: galvanizza i rotocalchi di gossip e controversie, ma riuscendo nell’impresa di non togliere mai del tutto il focus sulla propria musica. Senza di lui, il palinsesto di Mtv e la top 10 di qualsiasi chart sarebbero stati posti nettamente più noiosi. Il suo disco d’esordio, The Slim Shady LP, prodotto da Dr.Dre, luminare dell’hip hop, vende i fantastilioni di copie; il secondo album è atteso da tutto il mondo col fiato sospeso, preceduto dalla solita domanda: riuscirà a bissare il successo o si rivelerà il solito fuoco di paglia? Ma The Real Slim Shady, singolo d’apertura di The Marshall Mathers LP, ha una forza troppo ingombrante per non scardinare tutti i dubbi che rimanevano a critica e pubblico. Eminem dissa Will Smith, Britney e Christina, le boy-band e tutta la concorrenza che popola Mtv: lui è unico e inimitabile, anche se la discografia tenta di replicarlo un milione di volte. Gli bastano una maglietta bianca, un pantalone baggy e i capelli rasati a zero e tinti biondo platino per creare un trend e confermare l’ipotesi iniziale: siamo di fronte a un fuoriclasse della musica.
E se Eminem diventa famoso per le controversie, di cui giornali e riviste si nutrono sempre di più, è nei pezzi più cupi che dà il suo meglio: il secondo singolo di The Marshall Mathers LP è The Way I Am, assoluto capolavoro di aggressività e denuncia. Eminem detesta la fama da cui è stato travolto, e sputa rime ricordando ai fan di, fondamentalmente, non rompergli i coglioni chiedendo foto e autografi come fosse un NSync* qualsiasi — e di non offendersi. (Il video è NSFW, qualunque cosa significhi visto che oggi apri Instagram e vedi cose di gran lunga peggiori).
The Way I Am è il secondo singolo in un’epoca in cui i singoli venivano scelti in modo egregio, sensato e ordinato, in una maniera tale che il ciclo di un album potesse godere di una narrativa ben specifica (un uptempo per le radio e i club; un mid-tempo per i fan; una ballata per vincere tutti); Stan inaugura la bizzarra stagione delle ballad rap e le sdogana definitivamente anche nel mainstream; per Eminem si rivelerà una faccenda fruttuosa specialmente nelle chart UK, dove anche le sue ballate future, pure quelle meno riuscite, troveranno buona fortuna; Stan è un brano di una potenza così forte che giustifica la durata quasi folle, in un’epoca di radio edit forsennati: sei minuti e quarantaquattro.
Stan è un brano estremamente controverso tanto quanto affascinante. Intanto è una murder ballad, dove lo storytelling sta al centro, scritta in forma epistolare — una bizzarria, in tempi di musica pop di tre minuti.
Stan, il protagonista del brano, è un fan sfegatato che scrive al suo idolo Eminem delle lettere dove gli racconta di sé; è una relazione a senso unico, con un crescendo descritto perfettamente e aiutato dalla produzione, colma e impreziosita da sound design che accompagna le lettere di Stan; man mano che le lettere procedono il tono diventa sempre più scuro, teso, e Stan mostra sempre più il proprio lato disturbato, ossessivo e tragicamente dark. La mancata risposta da parte di Eminem, o episodi come quando Stan e il fratellino lo aspettano per quattro ore fuori dal backstage e Eminem non si ferma (scagionato, nel videoclip del pezzo, dal fatto che sia la security a scortarlo via di peso), lo rendono sempre più nervoso — e pericoloso. La relazione tra fan e star è sempre stata al centro del contesto musicale, ma quasi sempre nel contorno e mai al centro. Eminem riesce a raccontare la storia in modo esemplare, pitturando Stan attraverso le cose che fa piuttosto che quelle che dice — come insegnano alla prima lezione di scrittura creativa: non dirmi che c’è la luna nel cielo, fammi vedere il suo riflesso nel bicchiere poggiato sul tavolo. E Eminem riempie il brano di questi riflessi mostrandoci come Stan sia osessivo-compulsivo nei confronti del suo eroe e abusivo nei confronti della compagna (che resterà innominata per tutto il brano: more on that later).
Stan è un unreliable narrator: ora, Eminem non sarà di certo Vladimir Nabokov (Fuoco Pallido, se non l’avete mai letto o vi siete fermati a Lolita, è il più glorioso romanzo a specchi mai stato scritto, dove l’autore prende il lettore e lo fa girare su se stesso talmente tante volte da fargli venire il mal di testa, costringendolo poi però a sedersi, riflettere e applaudire allo spettacolo al quale ha appena assistito: Charles Kinbote, lo Stan del libro, è il più affascinante cialtrone mai esistito su carta, talmente vivido e magistralmente descritto che pare essere un personaggio reale — ma torniamo alle Canzonette); però la penna di Eminem, al servizio di tematiche più profonde rispetto al mero dissing, si dimostra assolutamente all’altezza, e anzi, completamente in grado di alzare l’asticella della musica popolare.
Stan musicalmente vive su un sample, cioè la strofa di Thank You di Dido: scelta magistrale del producer The 45 King, che aveva sentito il brano in un trailer di Sliding Doors. Il genio sta nel prendere la strofa di Dido, malinconia e triste, e loopparla rendendola l’inciso; così, dove nell’originale Thank You il brano ha un’apertura e una risoluzione, sia armonica che di testo, qui la canzone rimane rinchiusa su sé stessa, addirittura con un cambio d’accordi armonico su quell’«It’s not so bad, not so bad» a fine inciso che rende l’amarezza del racconto del tutto esplicita.
Dido impersonifica così la fidanzata di Stan: mai chiamata per nome, oggetto degli abusi del fidanzato e sempre esistente in forma evanescente. La conosciamo solo attraverso i racconti di Stan, quando lei intralcia il suo amore per Eminem, o quando le sue foto vengono sostituite da quelle del rapper; la sua presenza è un fantasma che infesta la canzone attraverso i ritornelli di Dido. (Nel video la fidanzata di Stan viene interpretata da Dido, e stando alle memorie dell’epoca questo è accaduto non senza problemi: Dido si oppose all’idea di interpretarla, fece svariate proteste sul set del video, ed è ben chiaro quanto poco le andasse vista la sua faccia nel video, specialmente nelle scene in cui viene legata da Stan).
Il testo di Eminem è viscerale, crudo, diretto, cinematografico e thrilleresco. Il finale vive di un doppio plot twist: il primo è quando Stan rivela, ormai al colmo della propria follia (o, come direbbe uno di quelli bravi, all’apice del suo masochismo) l’omicidio della fidanzata e il proprio suicidio; il secondo è quando Eminem stesso interrompe il monologo di Stan via lettere, e cambiando timbro prende la parola e risponde al fan.
Stan è un brano talmente iconico che, oltre a una versione con Elton John live ai Grammy (che verrà naturalmente letto come un «Eminem non è omofobo, ha l’ok di Elton John), il nome del protagonista diventerà un vero e proprio verbo diffusissimo nell’internet fine anni dieci: to stan significa infatti oggi essere un fan, talvolta ossessivo, di qualcuno.
Rivedremo sia Eminem che (incredibilmente) Dido da queste parti negli anni successivi; anche se Eminem verrà spazzato via sia dalla propria penna (che non riuscirà a rivelarsi costante con il seppur altissimo livello degli esordi), sia dal rap che lui stesso contribuirà a creare lanciando 50 Cent, passando un decennio di purgatorio prima di tornare, a metà anni dieci ai fasti degli inizi — quantomeno in termini di risultati.
LE PAGELLONE
My Name Is è un 8.
The Real Slim Shady è un 10.
The Way I Am è un 10.
Stan è un 10.
Thank You è un 6.