Numeri Uno è la rubrichetta che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli.
Qui trovate l’elenco di tutte le Numero Uno commentate, anno per anno, in continuo aggiornamento.
IL PRIMO INTRO
Tra i peggiori crimini commessi dagli americani nel corso dei decenni se dovessimo stilare una Top 3 troverà posto sempre e per sempre la totale incapacità di quei milioni di buzzurri di inchinarsi al genio di Robbie Williams.
Esiste un misconosciuto documentario sulla per-certi-versi-altrettanto-misconosciuta boy-band inglese Busted, mentre cerca di sfondare nel mercato americano, dal titolo America Or Busted; se non li conoscete, pensate ai precursori degli One Direction, bellocci e teenager ma con le chitarre, che nel 2002 dopo solo due dischi stabiliscono il Guinness World Record per maggior numero di sold-out a Wembley di fila — 11! —, vincono due Brit Awards, rivoluzionano il mercato Uk a colpi di chitarre e salti a tempo. L’immaginario è quello a metà tra i blink-182 e Avril Lavigne, che però in un mercato sovraffollato da Westlife, 5ive e Blue li fa sembrare i Sex Pistols; insomma, i Busted accumulano successi e milioni di dischi venduti finché a un certo punto uno di loro all’apice del successo lascia la band per formare un gruppo metal. (Il gruppo metal sarà, in modo abbastanza rocambolesco, una delle realtà migliori uscite dal Regno Unito negli ultimi vent’anni). Nel documentario, che segue appunto il tentativo di farli sfondare in Usa poco prima del loro scioglimento, uno dei discografici che ha a che fare spesso con le star Uk che tentano l’exploitation dei progetti nella glaciale America fa la sua battuta: «Speriamo che non facciate la fine di Robbie Williams, che è arrivato da re in prima classe e se n’è tornato a casa in Economy».
IL SECONDO INTRO
Il giorno in cui nacque mia figlia entrai in sala operatoria con un solo, grande pensiero: speriamo che da ‘sti altoparlanti arrogantemente alti passino belle canzoni e non musica di merda. Internamente pregavo per due cose: che mamma e figlia stessero in salute e che il lieto evento non accadesse sotto le note di porcherie radiofoniche moderne o, peggio ancora, ballate melense che avrei eternamente dovuto rivalutare in quanto colonna sonora di una delle cose più belle dell’esistenza. A essere sinceri ricordo giusto dei frame di quei minuti finali, fotografie impresse nella memoria scattate da un me col fiato corto e il cuore heavy-metal alle prese con un avvenimento così veloce, emozionante e confusionario che faticavo a stare dietro a tutto, contando che la mia principale occupazione era continuare a ripetermi di non svenire. Be’, credo abbiate capito dove voglio andare: gli dei della musica talvolta parteggiano per te, e mentre mia figlia nasceva, la radio passava Feel di Robbie Williams.
IL TERZO INTRO
Nei giorni in cui in tutto il mondo esce nelle sale cinematografiche (quelle poche ancora esistenti, perlomeno) un biopic sulla sua vita dal titolo Better Man in cui è interpretato da una scimmia in CGI ma con i suoi occhi reali, Robbie Williams torna a far parlare di sé — e, incidentalmente, lo incrociamo di nuovo su Canzonette.
Williams è uno dei più grandi intrattenitori della storia del pop recente: difficile ripescare nella memoria qualcuno in grado di reggere botta sul palco per due ore, con un repertorio altrettanto efficace, poetico e controverso tanto quanto il suo personaggio nel marasma del pop contemporaneo. Oltre a essere la più grande popstar mai uscita da una boyband britannica, Williams ha fatto scuola di popstarismo per un decennio. Tra l’altro nel decennio peggiore per farlo: un decennio in cui a farla da padrone erano i tabloid, roba che in confronto l’internet è un paradiso pieno di complimenti.
Feel è il singolo di lancio del suo quarto, glorioso disco solista di inediti intitolato Escapology, anche noto come il-disco-con-cui-tenterà-di-sfondare-di-nuovo-in-America-fallendo-miseramente-anche-questa-volta; Feel sarà anche il titolo della sua prima autobiografia, scritta con (da?) Chris Heath, giornalista sopraffino, in cui racconterà tutti i retroscena tendenzialmente dark della sua esistenza totalmente autodistruttiva.
Il mio bias nei confronti di Williams è noto a tutti, anche se verranno tempi in cui non mancherò di massacrarlo; nel 2002, però, Robbie è ancora una volta al top della sua forma e, col fido Guy Chambers al suo fianco, confeziona un ennesimo capolavoro, uno dei suoi massimi picchi artistici.
A differenza dell’America — e dell’Inghilterra, dove odiarlo e detestarlo con passione è un hobby nazionale — Feel raggiunge la #1 in vari paesi europei tra cui il nostro. In Uk manca la #1 per via di una strategia marketing abbastanza fallimentare della EMI, che rilascia il singolo solo dopo l’uscita del disco (raggiungerà la #4, mancando la vetta come alcune delle più grandi canzoni di Williams, vedi alla voce Angels). Escapology è il disco che deve salvare la EMI: la discografica ha stretto col genietto di Stoke-On-Trent un rinnovo dalla modica cifra di 80 milioni di sterline; oltre a un anticipo notevole, il commitment di farlo sfondare in America è messo nero su bianco, insieme alla cessione di un controllo creativo maggiore alla star. (È il deal più grosso della storia della musica britannica ancora oggi.)
Il primo singolo del disco è Feel, un brano che Chambers e Williams compongono e registrano nel 1999, per poi tornare a lavorarlo nel 2002 per il disco. Robbie non è però soddisfatto delle voci ri-registrate e decide di lasciare le voci del demo del 1999 sul disco. Il risultato è indubbio: un altro masterpiece va a aggiungersi al suo canzoniere, questa volta con un testo profondo, che parla in modo aperto e onesto ma brillante di depressione, del rapporto con Dio, della confusione che gli gira nella testa ma soprattutto dell’incapacità di provare emozioni e della voglia di innamorarsi per riempire i buchi che si porta dentro. Non fosse una canzone palesemente sincera e frutto di un evidente malessere, sembrerebbe perfettamente costruita in lavoratorio per piacere alle sterminate masse di fan di Williams.
Feel è un brano pop, radiofonico e spaccacuore, con delle sonorità che richiamano il mondo di Moby, producer esploso pochi anni prima con il suo mix di sample blues e downtempo, ma soprattutto noto a tutti per essere stato blastato in Without Me di Eminem. Moby aveva osato sottolineare come Eminem fosse molto più che un rapper controverso, omofobo e misogino, e Eminem aveva pensato bene di dargli dell’anziano suggerendogli invece di… vabbè, leggete da voi:
And Moby? You can get stomped by Obie
You thirty-six-year-old bald-headed fag, blow me
You don't know me, you're too old, let go
It's over, nobody listens to techno
Tornando a noi, invece, Chambers ricorda come la sua idea di produzione fosse quella di fondere la ballad a una ritmica che ricordasse quelle di Moby. Effettivamente gli elementi ci sono tutti: pianoforte in levare, shaker, batterie sincopate – anche se solo parzialmente programmate. Una sorta di Why Does My Heart Feel So Bad in salsa europea, ma con un bel testo e senza disegnino irritanti a accompagnarla.
La lista dei versi clamorosi di Feel è troppo lunga, ma è impossibile non citare l’incipit «Come and hold my hand / I wanna contact the living», grande prova di gestione della suspence come solo i migliori comici sanno fare, ma anche di grandissimo umorismo bittersweet, cosa in cui Williams è sempre stato un assoluto campione; così come l’attacco della seconda strofa «I don’t wanna die / But I ain’t keen on living either» sarebbe una frase che da sola basterebbe a renderlo il testo più bello del suo repertorio, non fosse per il fatto che a) Williams ha dei brani con dei testi allucinanti, b) Williams ha, tra questi, in firma anche il testo di Come Undone, nella maniera più assoluta il migliore testo britannico degli ultimi vent’anni.
Williams è una popstar che combatte contro le voci nella sua testa fin dagli esordi. Dal periodo dei Take That in poi, teenager della provincia di Stoke On Trent scaraventato nel music business, al successo solista i demoni lo hanno sempre accompagnato fino a confluire nella sua musica in maniere sempre più crescente. Escapology è il disco in cui li mette allo scoperto, coprendo e condendo il suo self loathing con del sano british humor (vedi l’inutilmente lunga e bizzarra suite mariachi Me And My Monkey, Monsoon, la divertentissima Handsome Man: altro testo micidiale. You can't argue with popularity, well you could, but you'd be wrong).
Non è il suo disco migliore, tutt’altro: è un disco che vive di alte vette di songwriting (Feel, appunto, Come Undone e Sexed Up) tutte figlie di anni precedenti e di sessioni in cui la sua partnership con Guy Chambers era ai livelli massimi. (Basti pensare che oltre a Feel, anche Sexed Up risale al periodo del suo secondo disco, I’ve Been Expecting You, dove comparve come B-side del secondo singolo No Regrets, il singolo in cui vomitava addosso tutta la sua rabbia post-Take That con nientemeno che i Pet Shop Boys a fargli da coristi).
Williams con Escapology sovverte il suo pattern classico in cui il primo singolo che lancia il disco è solitamente un brano uptempo scanzonato in cui gigioneggia in maniera funambolica senza dire assolutamente niente ma dicendolo con stile: vedi Millennium e Rock Dj. Ma Escapology non è un album dove spiccano brani ritmati, è anzi un lavoro in cui Williams perde la verve e la penna che l’avevano contraddistinto perdendosi in tentativi di somigliare agli Oasis (How Peculiar), Tom Jones (per cui era inizialmente pensata Something Beautiful), Freddie Mercury (Love Somebody). Tutta roba insufficiente per accendere una miccia nel cuore degli americani, ancora più indifferenti allo charme di Williams. Le nevrosi di Williams, senza il contesto delle sue contraddizioni interne, che lo vedono dibattere tra la consapevolezza di essere un bel faccino per i poster e la certezza di avere delle cose da dire, non servono a nulla agli occhi del pubblico statunitense se private del passato e del passaggio da membro di boyband a adulto ribelle.
Fortuna vuole che, quantomeno, l’Europa gli perdoni il tentativo estremo e esplicito di piacere agli americani regalandogli milioni di copie vendute e permettendogli di restare il reuccio del pop ancora per qualche tempo.
LE PAGELLONE
Year 3000 è un 8.
Palahniuk’s Laughter è un 9.
Feel è un 10.
Without Me è un 9.
Why Does My Heart Feel So Bad è un 7.
Come Undone è un 10.
Me And My Monkey è un 5.
Monsoon è un 8.
Handsome Man è un 8.
Sexed Up è un 9.
No Regrets è un 10.