#1, 1999. BRITNEY SPEARS — BABY ONE MORE TIME, parte 2
Numeri Uno, marzo/aprile 1999. BRITNEY SPEARS — BABY ONE MORE TIME, parte 2
Numeri Uno è la rubrichetta che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli.
Qui trovate l’elenco di tutte le Numero Uno commentate, anno per anno, in continuo aggiornamento.
Numeri Uno è la cugina di quella americana di Tom Breihan, che è la cugina di quella inglese di Tom Ewing.
All’incirca ogni decade il mondo della musica viene scosso da un terremoto inarrestabile, che sposta mura e confini geografici del pop in modo irrevocabile. L’impatto sismico del debutto di Britney Spears, che esce nel settembre 1998 e invade le chart mondiali nel 1999, era difficilmente programmabile ma col senno di poi totalmente comprensibile. Musica pop e società viaggiano sempre di pari passo, danzando mano nella mano, influenzandosi a vicenda come accade in ogni relazione sana, e così come il pop è figlio dei consumi, i suoi consumi finiscono inevitabilmente per essere figli del pop a loro volta — e avanti così, in un processo evolutivo che tende all’infinito. L’incalzare delle boyband, dai più costruiti Backstreet Boys ai più spontanei Hanson, alle controparti femminili Spice Girls avevano deviato il mercato verso la musica teen, dai teen per i teen. È qui che si inserisce agilmente e irrimediabilmente Spears. Spears è un evento di musica pop e al contempo culturale, bandiera della fine degli anni novanta e dell’inizio dei duemila.
L’abbiamo lasciata la sera prima della registrazione delle voci di …Baby One More Time che ascolta musica, sognante, immaginandosi di cantare un po’ alla Tainted Love versione Soft Cell, insomma in modo estremamente sexy. Non male per una sedicenne in viaggio in Svezia per registrare il suo singolo di debutto.
Cosa succede dopo quelle due note di piano nell’intro che cambiano le sorti del pop?
Il vocal di …Baby One More Time è una delle tante cose che aggiungendosi e incastrandosi l’una con l’altra riescono a creare quell’apice di pop music capace di cambiare il corso degli eventi. Spears non è una cantante vocalmente dotata: non è Carey, non è Houston, non è la (a brevissimo sulle scene nonché sua maggiore e acerrima competitor) Aguilera. Ma compensa i limiti vocali con il carisma, sapientemente guidato da Martin. Perché dal primissimo «Oh baby baby», dove baby diventa bay-bae marcatissimo da un accento del sud, è chiaro che la sua voce starà al centro di tutto quello che sta per accadere. Il fry, tecnica vocale che Max Martin richiede a Britney durante le registrazioni insieme allo stretchare certe vocali (che diventerà uno dei marchi di fabbrica dell’approccio vocale di Spears), rendono epico il racconto della canzone; l’apporto di una strumentale essenziale, minimalista ma bombastica, pop, con basso slappato, chitarrine wah-wah vagamente funky e quel riff di piano su due ottave, unico, che rende riconoscibile il pezzo alla prima battuta e finisce per determinare il sound di un decennio, completano il quadro di congiunzione astrale che si avvera in questi 3 minuti e 31. Le influenze degli Abba sono ovunque: dal punto di vista melodico e armonico, come testimoniano la risoluzione armonica del ritornello e lo special, tanto quanto nel dna di Martin e degli svedesi che lo accompagneranno verso il trono di re mida del pop. Non sta tutto lì, ma tanto sta in quel «When I’m not with you I lose my mind» sincopato, definitivo, seguito dal lento rilascio della preghiera di Britney: «give me a sign / hit me baby, one more time». Se non è storia questa, chissà che cosa lo è.
L’ossessione che permea il testo, che oggi diremmo è incentrato su una relazione tossica, vale quel che vale. Le parole chiave sono loneliness e killing me, faccende tipicamente adolescenziali quanto universali, cosmiche — anche teen; ma il testo, da manuale di Max Martin, sta sempre in secondo piano rispetto al resto. Negli anni Martin ammetterà di preferire di gran lunga, da straniero, il suono delle sillabe rispetto al senso delle parole, spiegandoci come mai tanti dei suoi brani di maggior successo non abbiano assolutamente alcun senso dal punto di vista testuale (ne vedremo uno ben presto, essendo appena iniziata la sua fase imperiale da produttore e autore); tant’è che il pezzo inizialmente si chiama Hit Me Baby One More Time, pensando Martin che «hit» significasse «chiamare», ignaro del più comune significato «colpire», e dunque del connotato pseudo-S&M/BSDM e sessuale della faccenda.
Che, comunque, come tutti i doppi sensi, finisce per giovare a tutta l’operazione.
Il videoclip è la ciliegina sulla torta. Chi a scuola non si è mai annoiato, fissando l’orologio sul muro come fosse un ornamento religioso, o si è ritrovato a fantasticare di colonizzare i corridoi o la palestra come fosse una puntata di Glee?
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