S01E02. Narcisisti di ritorno
Volevo parlare di Rick Rubin, ma poi ho parlato dei Blur — e degli anni novanta.
A cheese making cunt, a New Labour cunt, a fake cockney cunt and a cunt.
Volevo parlare di Rick Rubin, che poi è il vero motivo per cui mi sono imbarcato in questa questione di Substack (ho scritto svariate cartelle di pensierini su The Creative Act, prima-e-speriamo-ultima opera letteraria del più barbuto producer di tutti i tempi, e buona parte del mio Instagram voleva leggerle); poi, tra una faccenda e l’altra, mia figlia pure ‘sta settimana ha scelto di non venire al mondo, quindi ne ho approfittato per fare cose, dopodiché è diventato venerdì, e il venerdì smettiamo di esistere perché escono i dischi. È uscito un pezzo nuovo dei Blur e come succede sempre quando stai nella più totale disillusione le cose ti sorprendono.
The Narcissist è un gran pezzo, per di più con un gran testo, di quelli che ti chiedi perché i Blur non facciano dischi più spesso, e i pezzi nuovi ormai hanno una sola funziona: servono per vendere biglietti e far rispolverarne il catalogo (modo carino per dire: così le major fatturano e ci pagano i dischi nuovi). E allora: Tender, Coffee&Tv (anche noto come il pezzo col video più bello di tutti i tempi), The Universal e via. (Avrei potuto e dovuto citare anche altri due o tre pezzi imprescindibili, lo so, ma se a ogni pezzo mi tocca cercare il link di YouTube e embeddarlo capite che scende la poesia. Ma dicevamo.)
Li ascolti, uno dopo l’altro, e a mente lucida pensi:
1) Che bello quando le band tornano e non lo fanno soltanto per grattare del grano o finire di pagarsi il mutuo della villa al mare ma tornano perché hanno delle cose da dire;
2) Che grandi armonie, i Blur. Pop e di gusto. A un certo punto di Tender c’è Albarn che canta che love’s the greatest thing that we have, e uno dice, ok, e pian piano te lo canta con un coro gospel e una chitarra mezza scasciata (13, il disco di cui è il primo singolo, è del 1999: altrimenti avrei detto una chitarra mezza indie), e a una certa accade una cosa bellissima, perché quando ti dice che love’s the greatest thing that we have l’armonia passa da C#m a D, che per chi non capisce nada di armonia potremmo definire una sequenza di passaggio, e mentre Albarn poi aggiunge I’m waiting for that feeling e pensi, ah, eccolo, gli piacerebbe pure a lui l’amore, rockstar-dal-cuore-di-panna, Damon-uno-di-noi, l’armonia rifà la stessa cosa, e poi lui ricanta Waiting for that feeling, sì, sta proprio aspettando l’amore Damon, cazzo, e l’armonia rifà quel passaggio da C#m a D, e alla fine Albarn te lo ridice di nuovo che sta proprio Waiting for that feeling to come e l’armonia sta ancora lì, in quella sospensione C#m e D, e ti tiene in attesa come l’amore tiene Albarn in attesa, e alla fine torna sull’A (per chi non si fosse incredibilmente ancora perso: torna sulla tonica, quell’accordo che ti fa sentire a casa), e lui si libera e il coro gospel si libera e chi ascolta si libera e un po’ gode pure, e che gran pezzo che è Tender;
3) Se apriamo il capitolo armonie-degli-anni-90, chissà che roba buona che girava per gli studi a quei tempi: non c’è altra spiegazione;
4) Blur Vs Oasis. Che periodo immenso dev’essere stata tutta quella faccenda dei magazine che parlavano solo di britpop? ‘Sti ragazzacci volevano solo suonare e rimorchiare qualche universitaria, ma come succede sempre quando gli anziani diventano dirigenti-che-comandano a metà anni novanta l’industria era stata sovvertita da chi comprava i dischi; e chi compra i dischi a una certa si stufa sempre delle cose che gli vengono imposte, e quindi nel giro di un paio d’anni qualunque quartetto avesse l’accento britannico vendeva palate di dischi (e, spesse volte, anche meritatamente);
5) Guardate la foto a inizio post: quanto cazzo erano anni novanta le foto degli anni novanta? Grazie-ar-ca’, mi direte. Però. C’è un però. C’è sempre un però dalle parti degli anni novanta. Perché gli anni novanta hanno preso gli anni ottanta e gli hanno detto fondamentalmente: «Ah, sì? Tu pensi d’essere l’epoca delle epoche? Del tutto in grande e ingrandito? Mo’ ti faccio vedere io, a te e al tuo boom di pop culture», ed eccoci con l’epoca dove sono riusciti a coesistere gli Oasis e le Spice Girls, il pop-più-pop-di-sempre e il grunge e le grafiche fluo, Pulp Fiction e Titanic, Forrest Gump e American Pie. Non so se mi spiego, perché è difficile spiegare i novanta a chi non c’era traducendo la poesia e tralasciando il kitsch, ma i novanta sono tutto e sono stati tutto — e ci torneremo, forse prima che tornino definitivamente loro. (L’ho fatto di nuovo: volevo parlare di una cosa e ho parlato di un’altra. Tratto distintivo, eh? Mia figlia, comunque, per inciso, non è ancora nata).
Tornando ai Blur, una delle cose che preferisco del britpop sono i commentatori: The Narcissist è stata introdotta da un articolo sul Guardian, del quale vi invito caldamente a leggere i commenti: c’è della gran letteratura, là dentro. C’è sempre della gran letteratura, nei commenti degli inglesi. A parte le diatribe sui dischi migliori dei Blur, sulla Thatcher e sul Britpop, uno su tutti si limita a scrivere «Frankie Boyle’s description of Blur. Enough said.». E Frankie Boyle — che è un comico scozzese — aveva detto: «Blur...Blur... A cheese making cunt, a New Labour cunt, a fake cockney cunt and a cunt».
IL PAGELLONE
The Narcissist è un 8.
Tender è un 9.
Coffee&Tv è un 9.
The Universal è un 9.