S01E03. Se c’è una cosa a cui penso spesso e a cui cerco di non pensare mai è il funerale dei Daft Punk
Le band si sciolgono, i dischi no.
Ho preso la patente a trentadue anni, ma adesso che sta per nascere mia figlia non potevo mica metterla nella Smart che ho comprato per dimenticare il trauma di imparare da adulto a guidare con il cambio manuale.
Cosa c’entrino i cazzi miei con la riedizione per il decennale dell’ultimo disco dei Daft Punk è presto detto: la prima cosa che ho fatto sulla macchina nuova per testare l’impianto è stata mettere su Random Access Memories.
Uno dei miei aneddoti preferiti sui Daft Punk è quando, dopo anni di rifiuti di esibirsi al Coachella, decidono di farlo. Parlano con l’organizzazione e hanno una sola richiesta: si fanno dare un sacco di soldi, e tutti in anticipo. L’organizzazione, titubante, paga l’intera somma prima ancora della performance; i due spariscono, non rispondono al telefono manco al manager e ricompaiono con una gigantesca piramide costruita come stage — fondamentalmente cambiando per sempre l‘impatto scenico della musica elettronica (e non solo) dal vivo. Questo per dire quanto De Homem-Christo e Bangalter siano (fossero?) i megalomani col miglior gusto sulla piazza.
Quindi: sono passati dieci anni. E al netto della critica che l’ha acclamato o distrutto, dei Grammy, dei milioni di stream che servono solo per le cartelle stampa, del passato da cui hanno preso a piene mani e del futuro che hanno influenzato: che disco era e che disco è Random Access Memories? Al netto del marketing incredibile, cosa è rimasto, se è rimasto qualcosa? È ancora un disco perfetto, considerando che i dischi perfetti solitamente lo sono solamente nel momento in cui lo si pensa e poi mai più?
Tanto per cominciare, trovo ironico come RAM sia il disco della band elettronica più di culto delle ultime decadi, eppure lo sia pur essendo un disco con una minima percentuale di elettronica al suo interno; e che proprio loro che fino a qualche anno prima venivano accusati di aver ucciso la vera musica, la musica suonata, bla bla bla siano stati poi adulati come quelli che erano tornati per salvare la musica dall’edm senz’anima. (I critici sono fatti così: all’epoca odiavano Skrillex; dieci anni dopo, stanno lentamente iniziando a capirne l’impatto. Gli serve del tempo. Del resto la critica fa così da sempre: ti stronca finché, anni dopo, grazie all’unica cosa che renda sensata una recensione o un giudizio — la prospettiva — si rende conto che eri la cosa migliore della tua epoca.
Da Give Life Back to Music (ma che inizio è?) in poi è tutta una gran cavalcata. Una cavalcata chi di ama la musica, sicuramente. Di chi vuole riempire il dancefloor, ma con stile. È un disco estetico, come ci si potrebbe e dovrebbe aspettare da loro, futuristico nell’idea di futuro retro-classico-kraftwerkiano che hanno sempre sposato come grande mantra della loro produzione: sempre moderno, mai modaiolo.
È il disco più bello dei Daft Punk? È il loro Kid A? O quantomeno il loro Thriller? Importa veramente? Io direi di no. Non tutti i dischi devono spostare l’asticella. Anzi, un altro buon modo per valutare un disco — al di là della sua bellezza effettiva e di quella effimera — trovo sempre sia quanto ha influenzato ciò che è venuto dopo. E allora: Dua Lipa sarebbe una popstar globale se Ian Kirkpatrick non avesse ascoltato così assiduamente RAM e l’avesse usato come template del pop da Don’t Start Now in poi? Purple Disco Machine avrebbe dominato le radio in modo così potente? Le chitarrine funky sarebbero tornate un buon addendum delle produzioni degli anni successivi se i due non avessero coinvolto Nile Rodgers da Get Lucky in poi? Ci sarebbe (stata?) questa ondata nu-disco/cassa in 4? (Che poi: ma che cazzo è la nu-disco?) E Uptown Funk?
A volerla fare breve basterebbero un paio di canzoni a spazzare via qualunque dubbio sui giudizi: quanti album degli ultimi decenni hanno avuto, al loro interno, pezzi come Instant Crush e Doin’ it Right? (O anche solo idee vagamente epiche tanto quanto Casablanca col vocoder).
Se c’è una cosa a cui penso spesso e a cui cerco di non pensare mai è il funerale dei Daft Punk. Forse tra le poche cose che avrebbe potuto rendere ancora peggiore la vita durante una pandemia globale era la migliore band elettronica della storia (provate a smentirmi) che si scioglieva.
Ma c’era qualcuno del circuito punk — forse Travis Barker, ma potrei sbagliarmi — che scocciato a chi gli si lamentava che la sua band si fosse sciolta aveva risposto: «Ascoltatevi i dischi. Quelli mica si sciolgono.»
Nonostante la poesia e il solito impeccabile riguardo per i dettagli, il video aveva investito di tristezza tutti quelli con un cuore. Nelle chat di musicisti non si parlava d’altro. E come succede tutte le volte che una band si scioglie io pensavo: almeno i dischi mica si sciolgono. Da anni ci facevamo bastare Random Access Memories, per poi scoprire che RAM era il loro lascito, l’eredità definitiva — e forse anche la più giusta.
LE PAGELLONE
Give Life Back to Music è un 8.
Don’t Start Now è un 7.
Uptown Funk è un 8.
Get Lucky è un 10.
Instant Crush è un 10.
Doin’ it Right è un 10.