Numeri Uno è la rubrichetta che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli, senza discriminazioni ma con effettivo buon gusto. È la cugina di quella americana di Tom Breihan, che è la cugina di quella inglese di Tom Ewing.
Uno dei metodi migliori per capire se un pezzo è eterno è metterlo su vent’anni dopo e sentirlo squarciagolare parola per parola da chi hai accanto.
È difficile definire con precisione cosa fa in modo che una semplice canzone diventi parte della Cultura Popolare; è un misto di cose inspiegabili e difficilmente sintetizzabili da un algoritmo. In questi mesi di lettura delle chart vedremo tantissimi pezzi a oggi storici che si sono fermati alla numero due, o nei bassifondi delle chart, per poi sì vendicarsi sulla lunga distanza essendo ancora oggi cantati, suonati, streammati, ma sempre con quel retrogusto dolceamaro: perché un pezzo così non è riuscito a agguantarsi il primo posto? Ma che avevano in testa gli italiani?
Grazie a Dio, Laura Non C’è non è fra questi.
Laura Non C’è è una di quelle canzoni di cui chi s’imbarca in un impegno tipo questo — analizzare a vent’anni di distanza le classifiche del passato — non vede l’ora di parlare. Laura Non C’è rappresenta tutto ciò che di buono abbiamo fatto in questo paese musicalmente dopo i cantautori: la Musica Pop Italiana. Tra la fine degli anni novanta e l’inizio degli anni duemila il pop italiano era in splendida forma, regalandoci episodi che persino il più cinico dei metallari faticherebbe a rinnegare. Ponendo fine al regno infinito degli U2, Nek salvò l’Italia nel marzo ‘97 prendendosi lo scettro di singolo-più-venduto-dello-stivale col suo capolavoro portato a Sanremo.
Tra le classifiche di Sanremo e quelle dei dischi più venduti c’è sempre un comune denominatore: non sempre — anzi, tendenzialmente quasi mai — i pezzi che finiscono per rivelarsi eterni arrivano in cima. È quello che succede a Laura Non C’è al Festival: un settimo posto nell’anno del trionfo dei Jalisse. Io avevo dieci anni, e Laura Non C’è è l’unica di cui saprei recitare il testo a memoria mentre mimo con precisione tutti gli accenti di batteria per tutti i tre minuti e quarantasei.
È quello che succede quando nella musica si crea una coincidenza astrale: la perfezione. Si allineano tutti gli elementi del caso — l’arrangiamento, il testo, il titolo — e una canzone buca la bolla del Regno Della Musica per finire a travolgere la cultura popolare, immergendosi nel vocabolario della gente comune. Lei, gli amici e tutto il resto è un grande album, che contiene delle grandi canzoni, e non è un caso se finisce per vendere milioni di copie e rende Nek una star anche in Sudamerica. Ma è Laura Non C’è che finisce negli annali, e per il motivo migliore di tutti: la qualità indiscutibile.
Il dualismo del protagonista, diviso tra il ricordo di Laura e l’attuale ragazza, è perfettamente supportato dall’armonia: intanto, il pezzo è in La minore, che significa che è strimpellabile da pressoché chiunque abbia imparato il giro di do; in più, quando Nek canta «Laura non è più cosa mia» su quel «mia» succede un mezzo miracolo armonico: un Mi minore 7. Qualsiasi altro accordo avrebbe mandato il tutto in vacca, o avrebbe comunque reso meno efficace il messaggio, mentre quel Mi minore ci restituisce tutto il patimento del narratore. È poesia irreplicabile, nient’altro.
La produzione di Massimo Varini è brillante: le acustiche phaserate, i synth, ma soprattutto la sezione ritmica: sul groove supportato da basso e batteria Nek non suona come nessun altro: suona come Nek che è diventato Nek. Quando esplode in quel «Se vuoi ci amiamo adesso», con quel «se vuoi» quasi scocciato, è passato appena un minuto, ma si percepisce ora come allora che questo ritornello fa parte della storia della musica italiana. Su «Però non è lo stesso», poi, un altro colpo di genio armonico: un Re maggiore che alimenta la tensione del racconto, mentre delle chitarre alla The Edge accompagnano il tutto.
Il raddoppio del rullante su «Giuro non ci ho pensato mai» nella seconda strofa ha la valenza di un videoclip: io ci vedo Nek prendere a pugni il muro e a calci le porte. È la sua disperazione fatta musica, che testualmente culmina con «Lei si muove dentro un’altro abbraccio».
Lo special a livello tensivo e armonico è la ciliegina sulla torta, tanto quanto il solo: è un moog? Un talkbox? Me lo sono sempre chiesto, senza riuscire a capirlo mai, e la domanda non mi ha mai impedito di ammirarne la bellezza.
Esteticamente è quanto di meglio si possa chiedere a un brano pop: efficace, bello, breve, intenso, dritto al punto, di supporto ma carismatico.
Fino all’ultimo ritornello, che ha quella cosa che si ritrova spesso nei pezzi scritti da gente che sa scrivere: il testo che cambia e che conclude la vicenda. Siamo ai titoli di coda, alla resa dei conti, siamo alla risoluzione: «Laura c’è, Laura c’è.» È il bello della musica pop fatta bene: ventisei anni dopo c’è ancora, in tutta la sua meraviglia di perfezione pop.
IL PAGELLONE
Laura Non C’è è un 10.