Numeri Uno è la rubrichetta che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli, senza discriminazioni ma con effettivo buon gusto. È la cugina di quella americana di Tom Breihan, che è la cugina di quella inglese di Tom Ewing.
Se chiedete in giro a chiunque sia nato negli anni novanta cosa pensa degli U2 vi risponderà più o meno nello stesso modo mio: ricordo Bono Vox che rompeva i coglioni per cancellare il debito dell’Africa, ricordo il concerto gratis per Mtv, ricordo le ballad del decennio precedente. È quello che succede alle Band Di Gente Adulta quando sei un pre-adolescente: ricordi le facce e il gossip, perché la musica mica parla di te. Infatti non ho nessuna memoria degli uptempo, eccetto per quella tortura che era Elevation nella colonna sonora di Tomb Raider. (Capiamoci: Elevation è un pezzone, ma a memoria non ricordo una cosa più gli-anni-novanta-stanno-diventando-i-duemila-quindi-i-video-devono-essere-tutti-futuristici! del video che la accompagnava.)
Quindi non ho nessuna memoria di Discotheque.
Discotheque è un pezzo che gli U2 dal vivo neanche suonano più. Pop è un disco che la fan base degli U2 aveva inizialmente odiato, perché erano diventati troppo moderni (all’epoca si diceva: si erano venduti alle radio, alle tv, alla fama, alle masse), e nel corso del tempo mai rivalutato.
Non so cosa volesse essere Discotheque nel 1997, so però quello che non è ascoltandola nel 2023: un pezzo memorabile. Non è una tragedia, ma rimane abbastanza bruttino.
Al di là del riff di The Edge, tutto sommato sempre puntuale e sempre riconoscibile, anche qui, nascosto da tutti i pedalini di cui disponeva, il resto si perde in un esercizio di stile, falsetti, cambi di atmosfera e inserti psichedelici e drums machine figlie dell’epoca — del tipo: oh, abbiamo ascoltato quello che fanno i Prodigy, ai giovani piace, vediamo che succede se su quella roba ci mettiamo la roba nostra!
La faccenda è che Firestarter è una canzone assolutamente rivoluzionaria. Nel marzo 1996 raggiunge la #1 nei singoli in Uk, vent’anni dopo il punk degli anni 70, incarnandone lo spirito ma in veste elettronica. La rave music è quello che più si avvicina alla filosofia punk negli anni 90, molto più del grunge, e i Prodigy ne erano pionieri. Ostili, aggressivi, adrenalinici, chiassosi eppure radiofonici senza volerlo essere. Nella terra di mezzo tra la coda dei Take That di How Deep Is Your Love, che sancisce la fine della Fase Imperiale della boyband di Barlow e l’esordio delle Spice Girls con Wannabe, i Prodigy s’inseriscono come un’ondata d’aria fresca nel mainstream britannico.
In più, Firestarter è un piccolo capolavoro di taglia-e-cuci per l’epoca: la scelta e l’utilizzo dei sample da parte di Liam Howlett è una masterclass per l’epoca, i riff e le drums e il testo di Keith Flinth prendono a scazzottate l’ascoltatore e lo trascinano per le rotaie della London Tube, come nel video (in cui la leggenda narra che Flinth, annoiato da ciò che gli avevano consigliato di indossare per il video, andò in un negozio di vestiti usati, comprò quel maglione ormai passato alla storia di Mtv, lo bucò con delle spille e rese il tutto ancora più iconico).
Scusate, ho divagato, ma è quello che succede con le belle canzoni: ne parleresti per ore, pur di non dover parlare di quelle brutte.
Cosa avrà mai fatto credere agli U2 che tentare di mischiare tutto questo con la loro roba potesse essere una buona idea non ci è dato saperlo. Discotheque non è quella che la Gen Z chiamerebbe una boomerata, ma ci si avvicina, strisciando sul confine tra credibilità e passo falso. Perché il pezzo suona esattamente come può suonare l’idea che ha una delle band più grandi del mondo della vita nei club: non proprio aderente alla realtà. Scollato. Più fedele ai cliché che alla verità. È la visione distorta di chi artisticamente si è perso, passando dal tetto del mondo a un mondo dove improvvisamente vanno i dj, spopola il trip-hop, le girl band, e il sampling — il tutto mentre il britpop scalcia da anni e Oasis e Blur sono La Nuova Cosa Figa per il pubblico. Il problema principale è che Pop — e Discotheque stessa, che ne era il lead single — è un disco che sembra affrettato, e lo è. La band aveva impiegato anni per la lavorazione del disco e il management, stufo di attendere, aveva già organizzato il tour mondiale. Risultato: il ritorno degli U2 coincise con la fretta di buttare fuori un album per sbigliettare un po’ di più. È il primo disco della band senza Brian Eno, il producer storico che con le sue strategie bizzarre si era imposto come il Grande Guru della Produzione: e si sente.
Alla fine Discotheque è un altro di quei brani che, come dicevamo a proposito dei Depeche Mode, finisce primo in classifica grazie all’imponente fan base della band. Una rapida occhiata alla chart di quella settimana ci dimostra come canzoni che non hanno raggiunto la # 1 si siano dimostrate ben più longeve, o quantomeno più memorabili: Don’t Cry For Me Argentina di Madonna su tutte. Che non credo di avere mai ascoltato per intero, ma sicuramente saprei scriverne più a lungo rispetto a Discotheque senza dover tirare in ballo altre band ben più meritorie del primo posto in classifica.
Ma all’Italia del 1997 non importa: l’Italia del 1997 dice che Discotheque è un pezzone, o forse non ritiene che ci siano canzoni migliori in circolazione, e quindi premia gli U2 per svariate settimane: le chart ci raccontano che Discotheque tenne ostaggio gli italiani per sei lunghissime settimane.
Finché, a un certo punto, fortunatamente, arriverà una Grande Canzone Italiana a spodestarla.
LE PAGELLONE
Elevation è un 8.
Discotheque è un 4.
Firestarter è un 10.
How Deep Is Your Love è un 6.
Wannabe è un 9.
Don’t Cry For Me Argentina è un 7.