#1, 1998. RICKY MARTIN — LA COPA DE LA VIDA
Numeri Uno, maggio 1998. RICKY MARTIN — LA COPA DE LA VIDA
Numeri Uno è la rubrichetta che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli. È la cugina di quella americana di Tom Breihan, che è la cugina di quella inglese di Tom Ewing.
Se i signori giurati osservano attentamente il reperto più-che-storico di cui qui sopra, ci troveranno tutto ciò che c’è da sapere sulla fine degli anni 90.
In ordine: un belloccio (un gran belloccio); un ciuffo (un gran ciuffo); un logo, per far capire anche all’acquirente più stupido che sì!, quello che sta tenendo in mano è proprio il disco-colonna-sonora-dei-mondiali!; dei font assolutamente ubriachi, ma quantomeno in questo caso sobri — per la media del decennio, s’intende.
I cd singoli erano così: grafiche orrende buttate a casaccio che non dovevano né intimidire né invogliare: tanto i dischi si vendevano, i singoli pure, e se i collezionisti e i fan più sfegatati si lanciavano sia sugli album che sui singoli, gli acquirenti più distratti non si facevano di certo fermare da un brutto artwork, pur di risparmiare qualche soldo e comprare giusto La Canzone Che Tanto Volevano Ascoltare e non quella più altri dieci riempitivi. (Ve li ricordate, i riempitivi? Bei tempi.)
La Copa De La Vida fu una delle hit dell’estate 1998. Non La Hit, purtroppo, perché stando alle chart e a quante settimane ogni pezzo rimase primo in classifica ce n’è uno che si fece nove settimane, e di cui ci toccherà discutere, purtroppo, alla cui idea già tremo: non perché sia una brutta canzone, ma perché è una canzone noiosa. E non c’è niente di peggio di una canzone noiosa. Pure quelle brutte sono meglio. A ogni modo: fortunatamente non ci tocca farlo ora: ora viviamo in retrospettiva una settimana gloriosa in cui un pezzo che definì l’estate fu il singolo più venduto della settimana. E che fu, a tutti gli effetti, l’inizio (quantomeno in Europa) di una carriera sfavillante a cavallo tra novanta e duemila.
Nell’estate 1998 esisto grazie a un walkman. Come dite? «Che cazzo è un walkman?» Presente il mondo fisico, quello in cui vivevamo per poi cercare di fuggire nel mondo virtuale?. Ecco. Quando non vivevamo al contrario, cioè in un mondo virtuale con qualche saltuaria camminata in quello reale giusto per pagare le tasse e stare nel traffico, il walkman era la nostra salvezza. Bambini, adolescenti, mezzi adulti. Tutti ci aggrappavamo a lui.
Guardatelo. Oggetto incredibile, dal design monumentale, oggi da museo (della storia?). Brutto, ok, forse orrendo. Ma il walkman ci salvava la vita. Consumavamo pile su pile, e probabilmente parte del disastro ecologico a cui assistiamo oggi come oggi è dovuto anche a noi, che ascoltavamo cassette su cassette, a ripetizione, aiutando la nostra ossessivo-compulsività a venire fuori. (Però sapevamo i pezzi parola per parola, nota per nota, e i pezzi duravano sei mesi. Va’ a capire chi avesse ragione.) Sì, la foto è sgranata, come sgranato è l’unico termine applicabile al suono che ne usciva. Bassissima fedeltà, poche basse, poche alte, tutto medie. Ma noi che cazzo ne sapevamo della qualità? Ci importava provare cose volgari come dei sentimenti attraverso la musica.
Estate 1998, dunque. Nel paesino della provincia milanese dove passo luglio con i nonni non c’è altro da fare se non andare in bici e ascoltare le cassettine, o la radio. Con mia nonna il martedì e il giovedì andiamo al mercato, e al mercato c’è la bancarella che vende cd e cassette. Ovviamente piratati; io ho dieci anni e so vagamente la differenza tra la due cose, ma so che li vorrei tutti originali, anzi, veri, perché in quelli veri ci sono i testi. Le foto. C’è scritto chi ha scritto le canzoni, e a me sembra tutto incredibile.
Quelle tarocche hanno solo la fotocopia della copertina e una vaga tracklist, solitamente scritta con un altro font — più brutto ancora, giuro. Però andateci voi a spiegare a genitori e nonni che vorreste spendere ventottomila lire per un’originale piuttosto che dieci per un tarocco. È la generazione del «ah, fai il musicista? Sì, ma di lavoro vero?», non c’è da stupirsi. Forse non è manco una colpa loro.
Se ci ripenso mi sembra ancora di sentire i profumi di quel mercato: rivedo il tizio dei salumi, quello delle verdure, quello dei polli allo spiedo. E sento distintamente la voce di quello che vende le casette e i cd che mette pressoché solo roba reggae, a posteriori solo Bob Marley, e sono abbastanza certo non lo facesse per invogliare la gente a comprare, ma per dirci qualcosa di lui. È come ci si esprimeva prima dei social.
Comunque. Due sono le cassettine che guardo e che bramo fortemente: una è quella di Vuelve.
Vuelve è il disco che spinge Ricky Martin nella categoria delle Potenziali Pop Star Con Un Futuro. Caso vuole che il 1998 è anche l’anno dei mondiali. I primi mondiali che vivo da cosciente. (Quelli del 1994, dove l’Italia perde in finale ai rigori contro il Brasile, li ho spediti nel calderone delle cose facilmente rimosse dalla memoria). E come ogni mondiale, serve una canzone. Un inno. Arriva quindi Ricky Martin, e lo fa talmente bene e talmente poco casualmente che il pezzo diventa la colonna sonora ufficiale di Francia 98.
(Dei discografici intelligenti, vogliosi di fare sfondare il nostro in tutto il mondo, fanno preparare a Desmond Child due versioni: quella spagnola è quella spanglish, una sorta di mix che dovrebbe accontentare tutto il mondo non-spagnolo, con frasi in inglese e paroline etniche al punto giusto. La faccenda si ripresenterà con la vera smash di Ricky Martin tre anni dopo, e con risvolti più divertenti, ma per il momento rimaniamo su La Copa De La Vida: la versione “inglese” è drammaticamente tremenda, ma forse è solo la nostalgia che parla; a me suona davvero perfetta la versione spagnola. Quando Martin canta «luchar por ellaaaaaaa» prima di ogni ritornello mi sembra di vederlo sudare sul campo da calcio, in una scena simile a quelle che uscivano dalle penne dei disegnatori di Holly e Benji. Una piccola parentesi obbligatoria su Desmond Child: un fottuto songwriter. Tra le cose devastanti che ha scritto fino al 1998: You Give Love A Bad Name, Livin’ On A Prayer (e cioè le canzoni che hanno reso Bon Jovi Il Signor Bon Jovi, che avevamo già incrociato incredibilmente primo in classifica nel 1997), Old Before I Die di Robbie Williams, di cui avevamo impunemente parlato qui. Seguirà un’altra hit giga-mega-galattica, sempre per Ricky Martin, ma ci arriveremo tra un po’.
Vogliamo parlare de La Copa De La Vida? Prima o poi andava fatto. E allora.
La Copa De La Vida suona così: un po’ house anni novanta con tendenze euro-pop, abbondanti percussioni sud americane, timpanoni e fischietti, un ponte filo-salsa, un mood samba, un costante call-and-response fin dal primo secondo, manco a farlo apposta perfetta per gli stadi, e sopra tutto questo il carisma di Ricky Martin. In Europa spacca le chart; in Usa lo manda fino alla #45, che per essere il suo secondo singolo per il mercato americano dopo (Un, dos, tres) María non è niente male. (Un, dos, tres) María; è un boppone).
Martin viene da un background di boyband, i Menudo, che aveva come caratteristica quella di cambiare i propri componenti (bizzarro, lo so, ma funzionava). E la sua stage presence sarà uno dei suoi punti di forza, qui come in futuro. Le radio abbracciano il pezzo, la gente abbraccia il pezzo, le ragazzine vorrebbero abbracciare Ricky — che tra l’altro di vero nome si chiama Enrique — e La Copa De La Vida diventa la hit che si merita di diventare. La sua performance ai Grammy Awards, forzata dalla Sony e accolta con una standing ovation, Un’esportazione digeribile della Musica Latina in tutto il mondo, specialmente in Europa, e un altro tassello del successo della musica latina— che non parte da qui, ma neanche si ferma qui. (Sulla musica latina ci sarebbe da aprire un capitolo enorme, e per i più appassionati sulla faccenda la letteratura recente ci consegna questo piccolo gioiello, che affronta quelle che sono le tappe obbligatorie che portano dal Sud America per arrivare fino all’exploit mondiale degli anni 2000, fino a quel fenomeno rivoluzionario che è stato Despacito: si chiama Decoding Despacito, e parla di un sacco di canzoni che, negli anni 2000, troveremo spesso in vetta alle chart italiane, perché l’Italia è il Sud America dell’Europa molto più della Spagna. La storia di Ricky Martin, in Italia, inizia da qui. Ueppa.
LE PAGELLONE
La Copa De La Vida è un 9.
You Give Love A Bad Name è un 10.
Livin’ On A Prayer è un 10.
Old Before I Die è un 9.
(Un, dos, tres) María è un 9.