#1, 2000. LENE MARLIN — WHERE I'M HEADED
Numeri Uno, gennaio 2000. LENE MARLIN — WHERE I'M HEADED
Numeri Uno è la rubrichetta che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli.
Qui trovate l’elenco di tutte le Numero Uno commentate, anno per anno, in continuo aggiornamento.
ANTEPRIMA
Io non lo so di chi sia stata l’idea alla Virgin di stampare, nel gennaio 2000, il terzo singolo di un’esordiente norvegese il cui primo album era uscito nell’aprile 1999; so solo che, se me lo trovassi davanti, gli stringerei la mano.
E gli stringerei la mano per due motivi: il primo è che il brano, effettivamente, riuscì nella non indifferente impresa di finire al #1 della classifica dei singoli italiani; la seconda è che riuscì a farlo con una canzone di una noia tremendamente mortale.
L’ADOLESCENZA E ALTRI PREAMBOLI
L’adolescenza è il momento migliore per ascoltare musica: non sai nulla di strategie discografiche e di mercato; hai una conoscenza limitata, e questo limite ti permette di non partire prevenuto e non avere pregiudizi, se non quelli che ti sei creato col percorso musicale che hai scelto di fare. Riformulo: non hai (ancora) dei pregiudizi, hai solamente dei gusti. Tutto quello che sai lo sai dai giornaletti (se sei nato a cavallo tra fine anni ottanta e inizio anni novanta) o dagli amici. Di base, te la godi. E se non è godere è lo scopo della musica allora qual è? Da adolescente non ti concentri sull’architettura, sulle rifiniture, non ti intrattieni sui dettagli: ti godi l’esperienza nelle case degli altri. Concentrarsi sull’architettura delle canzoni, delle produzioni, dei mix, del songwriting porta a perdere buona parte dell’entusiasmo nell’ascolto, specialmente se si fa in modo ossessivo compulsivo (che poi alla fine l’OCD è la curiosità che ha preso gli stereoidi: cosa cazzo vivi a fare se non sei curioso?). La conoscenza tende a essere nemica dell’entusiasmo, perché la conoscenza porta all’analisi, e l’analisi sta dalla parte opposta alla gioia, entrambe con le pistole in mano come in uno stallo alla messicana di quei film western tanto belli che nessuno trasmette più e me li guardo di base solo io.
È più o meno questo quello che mi sono detto mentre ascoltavo, anzi, riascoltavo a vent’anni di distanza dall’ultima volta Where I’m Headed, terzo singolo di Lene Marlin e secondo a conquistarsi la #1 in Italia dopo Unforgivable Sinner, pensando che me la ricordavo molto più bella, e invece nelle cuffie mi sono ritrovato una ciofeca.
IL DELIRIO
Where I’m Headed è tutto ciò che non ricordavo essere: una canzoncina abbastanza priva della poesia di cui ero convinto fosse provvista.
Che il video fosse tremendo ce l’avevo stampato in testa, perché certe brutture non se ne vanno davvero mai, restando più ancorate in te di tante altre cose decenti, e non tanto per i due giovani che fanno cose stupide da giovani e in qualche inquadratura amplesseggiano, più per il green screen che a memoria è da arresto in almeno 72 paesi al mondo. Ma se c’è una cosa che è ancora più brutale del cambio di suono è l’estetica. (Venitemi a dire che quando nel primo ritornello Lene canta e viene fatta volare su un prato verde non vi ricorda Bibendus di Mai Dire Gol, cioè quando Maurizio Crozza faceva ridere, dài, su, venite se c’avete il coraggio, v’aspetto al bar di Piazzale Brescia a Milano).
Un video orrendo lo perdoni. È la canzone che mi ha fatto rimanere male.
Il suo arrangiamento da risparmio energetico, la linea di basso senza vita, le chitarre elettriche che rasentano la soglia del minimo indispensabile, per non parlare di quella che oggi chiameremmo vocal production, totalmente assente se non per dei cori svogliati, o per carità, di quegli archi sintetici che appaiono nello special, o ancora della modulazione sull’ultimo ritornello — ecco, è tutto così banale e noioso che mi sono ritrovato a fare tra me e me una considerazione abbastanza brutale. La seguente: forse è meglio una cosa brutta fatta con entusiasmo che una cosa media fatta con mestiere. La totale assenza di una seppur minima traccia d’anima è sempre un enorme segnale di allarme. È ciò che distingue il musicista da un chimico, no?, o gli scienziati che si attengono alle formule dai pazzi che a furia di inciampare sui campi minati le scoprono, le formule, qualunque cosa quest’ultima frase significhi (scusate, è che io m’appunto cose mentre prendo e poso mia figlia, e non sempre mi ritrovo d’accordo con quello che ho pensato in precedenza ma mi sento comunque in dover di dar voce a alcuni di questi appunti, almeno quando coincidono abbastanza con la tesi che sto formulando nel momento specifico in cui mi permetto di precipitare e schiantarmi con totale mancanza di dolcezza sul divano, recuperare il portatile e dare luce a questi vaneggiamenti. Vaneggiamenti che, come avrete notato, proseguono da un numero non indifferente di righe — di cui però la maggior parte di voi non ne è finanziatrice, dunque non essendo detentrice del diritto di lamentela che forniamo agli abbonati di Canzonette — , numero di righe che cresce esponenzialmente sotto queste dita voraci e tanto abili nel cazzeggio quanto inarrestabili, avvalorando così la mia tesi iniziale: questa canzone è così morbosamente blanda che a) ho messo muto al secondo riascolto; b) preferisco passare per uno che avrebbe bisogno di una gran vacanza, cosa oggettivamente non confutabile, piuttosto che dover discutere per altre n righe della povertà di questo brano. Abbiamo visto di peggio, sì, certo. Ma il peggio, quando è brutto, dà sempre modo di dire qualcosa, che sia concreto o astratto, che sia un gancio sull’elogio della bruttezza, come era accaduto per Angunn. Nel brutto si può e si deve trovare un senso, anzi, è quasi necessario. Qui, c’è solo uno sterminato campo di noia in cui perdersi).
Where I’m Headed, bizzarramente prima una settimana dopo il dominio degli Eiffel 65, svetta così in modo anonimo, lasciandomi come unico ricordo dell’epoca Marcello di Hitlist Italia che l’annuncia nella chart settimanale di Mtv.
Non è una grande eredità, ma cara mia Where I’m Headed è — per citare un grandissimo pezzo del 1999, ché da queste parti abbiamo bisogno di ricordarci cos’è la bella musica — appena quello che ti meriti.
LE PAGELLONE
Where I’m Headed è un 5.
Colpo Di Pistola è un 8.