#1, 2000. RONAN KEATING — WHEN YOU SAY NOTHING AT ALL
Numeri Uno, gennaio 2000. RONAN KEATING — WHEN YOU SAY NOTHING AT ALL
Numeri Uno è la rubrichetta che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli.
Qui trovate l’elenco di tutte le Numero Uno commentate, anno per anno, in continuo aggiornamento.
ICAZZIMIEIPUNTOCOM
La mia educazione sentimentale è stata modellata e plasmata in base all’esistenza di Hugh Grant, e per «esistenza di Hugh Grant» ovviamente intendo quello all’interno dei centoventi minuti di film dove il suo ciuffo-così-anni-90 rincorreva amori improbabili in modo tanto ridicolo quanto tenero, solitamente riuscendoci. Hugh Grant mi ha insegnato gran parte di quello che so sull’amore, e non negherò che vederlo invecchiare in questi anni è stato traumatico, tipo come un fanatico della Marvel che poi cresce e si ritrova davanti Iron Man col bastone. Quando ho l’influenza, che poi essendo un maschio significa due linee di febbre e la faccia da comparsa di The Last Of Us, di solito ho i miei must: la roba nuova è bandita, l’influenza è per i classici. Essendo figlio di fine anni ottanta, nella mia top 3 dei classici non può che esserci Notting Hill.
Notting Hill gode di un cast stellare, Grant e Julia Roberts — e checché ne vogliamo dire di Roberts, qui è perfetta nel ruolo dell’attrice svampita: metodo stanislavskiano o semplice talento? — e di una sceneggiatura pazzesca che andrebbe studiata nei corsi di cinema e appesa nei musei.
(La sceneggiatura è Richard Curtis, lo stesso di: Love, Actually, Quattro matrimoni e un funerale, Il diario di Bridget Jones e molti altri; vabbè, già stiamo ignorando Ronan Keating da cinquecento righe parlando d’altro, quindi torniamo quantomeno all’altro).
Per chi non ne sa nulla, il film è incentrato sulle vicende di un libraio sfigato di Notting Hill, Londra, nel cui negozio irrompe l’attrice più famosa del mondo. Seguono: disastri, innamoramenti, amici e familiari bizzarri, inseguimenti e tantissime battute incredibili; il tutto nella maniera più british e deliziosa possibile. Per lanciare la colonna sonora di questo annunciato blockbuster, giustamente, si pensa a nomi forti nel panorama Uk.
Uno dei brani di punta è infatti She di Charles Aznavour, ma cantata da Elvis Costello (eseguita su espressa richiesta di Richard Curtis. Grande richiesta.)
Per il singolo di lancio, invece, la scelta ricade su Ronan Keating, con When You Say Nothing At All, che è anche la prima nuova #1 della classifica italiana del 2000, e che pone fine alle otto settimane di regno di Vasco Rossi.
BIOGRAFIE PER I DISTRATTI
Keating è il leader della boyband irlandese dal fantasiosissimo nome Boyzone. I Boyzone vengono formati nel 1993 da Louis Walsh, sulla scia del successo dei Take That. Louis Walsh lo incroceremo perché diventerà un giudice di X Factor Uk negli anni di massima esplosione del format, sorta di braccio destro/zimbello di Simon Cowell, che abbiamo già incrociato da queste parti in quanto a A&R di BMG e dei 5ive. In Irlanda prima e in Uk poi i Boyzone diventano una delle boyband di punta del mercato pop, anche grazie a un’immagine pulita e una serie di cover e singoli easy listening abbastanza azzeccati. Tra i brani loro che raggiungono la #1 in Uk, ricordiamo a insindacabile gusto mio: il midtempo All That I Need (super basica, super cheesy, ma ottimo rullante); la ballad che oggi si direbbe parla di inclusività No Matter What, che sarà poi il template per l’intera carriera dei Westlife (guarda caso sempre managed by Louis Walsh, con l’ausilio di Keating); e direi che basta così.
UNPO’DIALTRICAZZIMIEIPUNTOCOM, parte 2
Il mio fratellone a fine anni 90 aveva un best of dei Boyzone, che a tratti ha goduto di media rotazione sullo stereo di casa, e tutto sommato poteva benissimo essere un disco solista di Ronan Keating.
Quindi non è sorprendente la mossa solista di Ronan Keating, che parte da ultra-favorito nonché unico papabile solista della band, ma parte anche da sfavorito, perché sprovvisto di quel carisma indispensabile per tentare la carriera solista (citofonare Robbie Williams e Hsarry Styles) senza l’aiuto dell’effetto cheerleader (non so se sia una cosa mia e dei miei amici, o fosse realmente così, ma in un episodio di How I Met Your Mother Barney teorizzava questa teoria secondo la quale un gruppo di ragazze prese in gruppo salta all’occhio in modo che ognuna di loro sembri più attraente rispetto a quanto apparirebbe se vista da sola; la stessa regola vale in modo simile, applicata alle boyband: l’impatto di cinque che ballano e cantano è ingiustamente maggiore rispetto a uno solo, esaltando qualità che magari non ci sono).
La colonna sonora di Notting Hill, che vincerà un Brit Awards nel 2000, è quindi l’occasione perfetta per Keating di tentare il salto da solista.
È così che Keating, ripreso su quella panchina londinese nel videoclip, canta in modo onesto ma ottimo la cover di un pezzo country con una storia interessante che gli darà successo per tutt’Europa.
La versione originale (e anche la meno noiosa tra le due) è quella di Keith Whitley. Scritto da Paul Overstreet e Don Schlitz alla fine di una giornata poco produttiva, i due autori pensarono fosse un brano ok, non trovandolo per eccezionale. Quando Whitley lo sente se ne innamora, e avendo già ricevuto dai due un brano che poi sarebbe diventato #1 ma per un altro artista decide di non lasciarsi sfuggire anche questo — e a ragione. È così che il brano diventa una hit del 1988.
Nel 1994 tocca a Alison Krauss. Yawn.
Vedete l’importanza di un buon interprete? Come può cambiare le sorti di una canzone media e renderla bella? Certo, aiutato anche dall’arrangiamento e dalle immagini giuste e dal faccione di Hugh Grant.
In buona sostanza, When You Say Nothing At All seppur vituperata dalla critica inglese è figlia di quel filone anni 90 di mettere le ballad al centro dei progetti discografici i rivolti a un pubblico teen, perché del resto i poster sui muri mica si appendono senza canzoni strappacuore. (Mentre scrivo queste considerazioni, in sottofondo sta andando un video di Lonely di Justin Bieber, che poi è la reincarnazione duemilaedieci delle carriere post boyband in versione solista — stesso schema di sempre: canzoncine, canzonette, canzoni mature, inframmezzate da grande gossip).
When You Say Nothing At All riesce comunque a vent’anni di distanza, pur essendo forse la canzone meno-anni-duemila-del-duemila, anzi, forse aiutato proprio dalla sua produzione volutamente in secondo piano, a a rimanere un bel pezzo, legato in modo abbastanza indissolubile a un grande film, quello sì perfettamente incastonato nella sua epoca d’appartenenza.
Forse sulla provenienza della canzone ci sarebbe una grande parentesi da aprire sull’appropriazione culturale, parola molto in voga negli ultimi anni, ma che ci porta a un vicolo cieco: se ognuno di noi può fare solo quello che andrebbe fatto secondo le proprie tradizioni e i propri costumi, che ne sarà dell’arte? Senza la contaminazione che cosa succede al progresso artistico? C’era un ottimo thread sullo stratosferico Substack di Ted Gioia su questa cosa — se avete qualche minuto recuperatevela — quindi facciamo che ‘sta parentesi non la apriamo proprio, o se vi va, apriamo un dibattito nei commenti.
LE PAGELLONE
She è un 10.
When You Say Nothing At All è un 8.
When You Say Nothing At All è un 7.
When You Say Nothing At All è un 4.
All That I Need è un 7.
No Matter What è un 6.
Lonely è un 9.