#1, 2001: KYLIE MINOGUE — CAN'T GET YOU OUT OF MY HEAD
Numeri Uno, ottobre / novembre / dicembre 2001. KYLIE MINOGUE — CAN'T GET YOU OUT OF MY HEAD
Numeri Uno è la rubrichetta che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli.
Qui trovate l’elenco di tutte le Numero Uno commentate, anno per anno, in continuo aggiornamento.
Lo sai com’è il pop, dopo aver analizzato quattro anni di canzonette in cima alla classifica, no? Il pattern è chiaro: prendere le sottoculture, le vibe e le wave (e tutte quelle altre parole con cui oggi si annaffiano le conversazioni) nuove e fresche, masticarle, trasformarle, plasmarle e rigurgitarle in una versione accessibile a chiunque. L’ha sempre fatto, se ci facciamo caso: da quando i Beatles hanno preso il rock’n’roll di Chuck Berry rendendolo per tutti, alla disco music, alla dance, al pop di fine anni 90 (mutuato da new jack swing e r&b), alla musica urban dei giorni nostri.
Can’t Get You Out Of My Head è la quintessenza del pop, del pop fatto bene e del pop che si rifà a musica di qualità. Provate a non sentirci dentro i Daft Punk di Homework, nel beat che portò Kylie Minogue a sbancare per tutta Europa, fate pure: sarà impossibile. Can’t Get You Out Of My Head è uno di quei brani che ti capitano una volta nella carriera. Di quelli che te la cambiano per sempre, pur essendo irripetibili.
Inizialmente il pezzo che rilancia Minogue in tutto il mondo viene fatto girare senza trovare una casa — faccenda tanto assurda quanto incredibile — per poi trovare quella giusta. (Quello che intendeva Venditti con la questione degli amori che fanno giri immensi è perfettamente applicabile alle canzoni, lo giuro). S Club 7 e Sophie Ellis Bextor (sì, quella di Murder On The Dancefloor che solo quest’anno è, grazie a un revival inaspettato per colpa - o merito - di un filmaccio arrivata alla sua prima #1 in UK) ascoltano il pezzo la dicono di no. Non fa per loro. Passano la palla, e la palla arriva a Kylie. L’A&R che sente il pezzo capisce subito il suo potenziale: a Kylie bastano 20 secondi per dire ok. Registriamola. L’irresistibile hook, ipnotico e tanto fanciullesco quanto trasversale, le drum in linea con la french touch che pochi anni prima aveva sbancato le classifiche (vedi appunto alla voce Around The World) e fatto tremare i bassi dei club europei e una melodia ipnotica rendono questa canzone un evergreen.
(Per rileggerti la column su Around The World, clicca qui:)
Il pop prende, mischia, ammira da lontano e imita da vicino: ha la necessità di essere immediato e l’obbligo di disfarsi delle sovrastrutture. Ha regole ferree, che però poi solitamente vengono scardinate quando qualche visionario ne ha abbastanza del vecchio nuovo e decide che serve un’innovazione, un nuovo nuovo — ovviamente presa in prestito da qualche altro genere, da qualche altra cultura. Il pop è liquido, si adatta al contenitore in cui lo metti, e la sua assenza di forma è la sua stessa forma. È specchio del suo tempo, e riflette pur non volendolo la direzione in cui la società sta andando. Il pop è un’opera architettonica totalmente indipendente, ma piena di rimandi e ispirazioni e dettagli presi da opere che l’hanno preceduta. È onestà e mestiere, furbizia e riassunto. Al suo interno, Can’t Get You Out Of My Head miscela anche echi di I Feel Love di Donna Summer — che suonava come il futuro grazie a Moroder — e Kraftwerk, tutte cose che ritroviamo nel video: dai ballerini vestiti come il gruppo tedesco a un’ambientazione futuristica.
La delivery di Minogue, un’artista che è sempre stata vocalmente non troppo dotata ma che ha sempre compensato con l’interpretazione, ha tutto ciò che serve: frasi sospirate, un hook micidiale cantato con innocenza, come se fosse appena stato inventato; non è invadente o bolso, fa quello che deve senza melismi o melassa, e lo fa alla grande. Ma Minogue è sempre stata così: emersa come star di una soap opera in giovane età, ha saputo reinventarsi come popstar senza spingere mai troppo su una sessualità esplicita (vedi alla voce Madonna). Qui è la voce a servizio della canzone, e rende ancora più lampante il grande atto di songwriting e produzione che si cela dietro a questo pezzo. (Cathy Dennis, una dei due songwriter, scriverà negli anni a venire una certa Toxic e una certa I Kissed A Girl: fate voi che Siae deve ricevere).
E se nei Daft Punk l’ossessione era iconica, accentuata da un loop micidiale e infernale e inevitabile e sottolineata dal videoclip di Michel Gondry, qui i confini dell’ossessione si spostano al tema del pezzo, e vengono messi in ordine in una forma più accessibile, anche se contraddittoria (da «Set me free» a «Stay forever and ever»: Kylie, ma quindi che vuoi?).
Can’t Get You Out Of My Head è un atto d’amore coi robot in sottofondo mentre il mondo va in fiamme dopo l’11 settembre: è il richiamo di un’epoca innegabile, un revival non troppo smaccatol e al contempo promessa di un futuro che verrà mantenuta a tratti.
LE PAGELLONE
Murder On The Dancefloor è un 9.
Can’t Get You Out Of My Head è un 10.
I Feel Love è un 10.
The Robots è un 10.
Around The World è un 10.
Toxic è un 9.
I Kissed A Girl è un 10.