#1, 2002. t.A.T.u. — ALL THE THINGS SHE SAID
Numeri Uno, settembre/ottobre 2002. t.A.T.u. — ALL THE THINGS SHE SAID
Numeri Uno è la rubrichetta che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli.
Qui trovate l’elenco di tutte le Numero Uno commentate, anno per anno, in continuo aggiornamento.
È fine agosto 2023 e nella pizzeria salentina in cui sto cenando mettono ancora la musica dai cd; in bilico tra uno spazio-tempo che appartiene a due decenni fa, il vintage, l’old school e il romanticismo, il cd suona a ripetizione le stesse canzoni e ogni tanto skippa (cioè, essendo rovinato, salta). Il cd è una compilation dei più grandi successi2002. La prima traccia è, naturalmente, All The Things She Said.
L’ANALISI KLOSTERMANIANA
Di cosa è fatta l’evoluzione della società? Incidono più i grandi eventi o i piccoli passi, apparentemente ininfluenti, che però si portano dietro un’eredità inizialmente invisibile e poi man mano sempre più verificabile?
All The Things She Said è più di una canzone: è un cataclisma, figlio di un’operazione estremamente cinica, che si abbatte non solo sulla musica pop, ma anche inconsapevolmente sulla collettività.
Se già oggi, a.d. 2024, siamo ancora trecento anni indietro rispetto alla società che dovremmo essere, figuratevi nel 2002. L’ignoranza, la totale mancanza di cultura e apertura mentale, la paura del diverso — tutte argomentazioni trite che conosciamo benissimo, che però hanno una forte influenza sui comportamenti, specialmente degli adolescenti provenienti dalle province. Nello splendido documentario della BBC uscito a novembre 2024, Boybands Forever, Duncan James* dei Blue racconta come a inizio anni 2000 la società, nello specifico quella tabloid-centrica del Regno Unito, fosse ancora estremamente anti-gay.
*Duncan James, nella versione originale dell’articolo — cioè quella che scrivo sul divano la domenica mezz’ora prima della mia deadline mentale mentre mia figlia canta la sigla di Bluey** e smonta pezzi di casa come fosse remunerata per farlo — era stato chiamato Lee Duncan, tipo un megatransformer tra Lee Ryan e Duncan James, i due Blue utili a qualcosa, di base. Ci scusiamo coi lettori e ci congratuliamo con quelli che se ne sono accorti.
L'acronimo "t.A.T.u." in russo è un gioco di parole che significa "questa quella"(inteso come "questa ragazza, quella ragazza"): "Тату", nome del duo scritto in alfabeto cirillico, è una contrazione della frase та любит ту (traslitterato: ta ljubit tu; lett. "questa ama quella"), e quindi risulta l'unione dei pronomi femminili russi та (questa) e ту (quella). E già da queste righe di Wikipedia è chiaro come chi ha ideato la faccenda avesse un’dea ben specifica in testa. Progetti come le t.A.T.u. (da ora in poi semplicemente Tatu per via della mia pigrizia) non rendono di certo nessuno meno omofobo, ma — inconsapevolmente o no — rappresentano la miccia per un dibattito di idee e di posizioni non rappresentate nel mainstream. Quanti cantanti e attori, nel 2002, sono ancora costretti a nascondersi, a temere l’outing che rischia di distruggergli la carriera giornalmente?
All The Things She Said, culturalmente, rappresenta il primo spiraglio di quello che diventerà un movimento, il primo passo sulla luna per chi non si vede e sente rappresentato da nessuna parte. Per la prima volta orde di adolescenti vedono in un video messo subito in alta rotazione da Mtv due ragazze baciarsi, ma soprattutto amarsi. Il lato ossessivo/sentimentale del pezzo non lascia dubbi: le due ragazze stanno cantando quello che proviamo tutti, puro amore, e senza saperlo stanno certificando che il puro amore tra persone dello stesso sesso esiste (e ha anche una bella colonna sonora). Pare niente, ma in un contesto culturale ancora estremamente machista che tende a bollare l’omosessualità come qualcosa di immorale che è il 2002 questo video equivale a una mezza rivoluzione — sempre in salsa pop, ma in qualche modo ante-litteram (manca infatti ancora un anno allo storico bacio saffico ai Vmas del 2003 tra Madonna e Britney Spears).
Ma andiamo con ordine.
FUORI KLOSTERMAN, DENTRO BREIHAN (tutti i buoni critici musicali hanno gli occhiali)
Le t.A.T.u. esordiscono nella madre patria Russia nel 2001, per poi sbarcare dopo il successo nel mercato nazionale su quello internazionale l’anno dopo, sempre col disco 200 Po Vstrechnoy, puntualmente tradotto 200 km/h in the Wrong Lane. Il duo è quello che si definirebbe classicamente manufactured, costruito a tavolino da due tizi di mezza età che scelgono Lena e Julia in quanto teenager che partecipano a un’audizione in cui la prerogativa è vestirsi da scolarette e limonare in modo da vendere dischi. La reference è abbastanza palese, e se l’outfit vi ricorda qualcosa è perché avete buona memoria. Del resto abbiamo già parlato a lungo dell’impatto epocale di …Baby One More Time, ma se eravate distratti o avevate Judo, eccolo qui:
Tra i synth europop e una batteria trip-hop un po’ industrial, il testo si muove di pari passo con l’armonia: un loop che non risolve mai, rivelando l’ossessione per l’amata persa. Niente di trascendentale, niente di ground-breaking nella canzone in sé: la rivoluzione sta più nel fatto che una canzone d’amore dedicata a una ragazza sia cantata da due ragazze.
Il testo viene scritto da Elena Kiper che, addormentatasi dal dentista, racconterà di avere avuto un sogno lesbo, per svegliarsi gridando «I’ve lost my mind», si presuppone in russo, e essere partita da lì per concepire l’idea del brano.
Il ritornello è drammatico, da urlare a squarciagola — e come direbbero allo stadio, chi non salta rossonero è! È!
Il video, manco a dirlo, viene bannato persino in Uk, dato che non viene reputato suitabile for children. I limoni delle Tatu rischiano di scioccare i giovanotti inglesi; meglio i pistoloni di 50 Cent, in fondo. ITV e CD:UK decidono di non passare il video e togliere fantasie infinite agli inglesi. Alle chart, però, che sono ancora abbastanza composte dai gusti reali della gente, frega relativamente, e il pezzo esplode in tutta Europa. È Tatu-mania, e le due sono più di due (mediocrissime) cantanti: sono un simbolo, sono un’icona di qualcosa che fino a qui non aveva avuto voce o la aveva avuta in modo annacquato o distorto.
La pantomima è sotto agli occhi di tutti, come testimoniano le — svogliatissime — esibizioni live delle due.
È un’operazione studiata a tavolino? Assolutamente sì.
È queerbaiting? Al 100%.
È però un brano che fa discutere e quanto meno, business a parte, aiuta il tema a uscire e venire discusso tra i teenager? Assolutamente sì.
È, cosa che tra l’altro poi ci interessa maggiormente, un pezzone? Dannatamente sì.
(Fun fact: la loro esibizione al Festivalbar 2002 causò l’insorgere di varie associazioni che chiesero la cancellazione della puntata, causa bacio saffico ovviamente, e le stesse polemiche preventive porteranno alla cancellazione della loro esibizione prevista per il Festival di Sanremo 2003).
NATURALMENTE
Va da sé che il resto della carriera delle Tatu non sarà esattamente scintillante, anzi; un secondo singolo — onesto ma poco più — avrà poco impatto nelle chart, perlopiù dovuto all’hype di All The Things She Said;
Not Gonna Get Us è una sorta di Firestarter dei poveri con sopra dei synth trance, che si ascolta assolutamente volentieri e rientra nella categoria banger, ma che fallisce nell’avere un qualche impatto come il singolo precedente. Durante le registrazioni del secondo disco licenziano il manager, cambiano discografica, ammettono in un documentario di non essere né amanti né omosessuali, Julia rimane incinta; dopodiché, con ordine, cambieranno ancora discografica, litigheranno arrivando allo scioglimento, rilasceranno (Julia) dichiarazioni omofobe come «Non accetterei un figlio gay... Credo che un uomo debba essere un vero uomo» e qualche disgraziata reunion partendo da nientemeno che The Voice Romania.
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LE PAGELLONE
All The Things She Said è un 9.
Not Gonna Get Us è un 8.
**La sigla di Bluey è un 10.