Numeri Uno è la rubrichetta che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli, senza discriminazioni ma con effettivo buon gusto. È la cugina di quella americana di Tom Breihan, che è la cugina di quella inglese di Tom Ewing.
Parliamoci chiaro, io dei Depeche Mode non ne posso più, i Depeche Mode hanno grandemente rotto il cazzo (non ditelo a Morgan), non in assoluto, anzi, ma di sicuro nel 1997.
Non so che cazzo facessero ai fan italiani in quell’anno, ma so che somiglia molto alla sindrome di Stoccolma, dato che riuscirono a infilare tre (TRE! T-R-E!) singoli al numero 1 in un anno — anzi, nel giro di pochi mesi: Barrel Of A Gun prima e It’s No Good poi — e, cosa ancora più ammirevole: nessuno di questi singoli riesce nell’impresa non-poi-così-tanto-titanica di essere una bella canzone. Di queste, poi, Home è nettamente la più brutta in assoluto.
Una riflessione in generale, un po’ perché almeno parliamo di qualcosa di concreto, un po’ perché mi va: più andranno avanti gli anni e più le chart tenderanno a raccontare la gentrificazione. Sono la ribellione al vecchi, finché ciò che rappresenta la ribellione diventa parte del vecchio, e avanti così, nei decenni. Una sostituzione etnica infinita e implacabile di artisti che appaiono, guidano la rivoluzione e finiscono per essere inglobati nella stessa cosa contro cui rappresentavano un elemento di novità. È il music business, baby. Nella fine degli anni 90 troviamo però quasi solo Cose Da Adulti nelle chart, perché i cd si comprano nei negozi, e nei negozi ci va chi ha i soldi: gli altri si fanno fare le cassettine pirata. (Ne parla alla grande Mennillo su Rockit, qui). Però spesse volte abbiamo incrociato canzoni bizzarre, modaiole o di moda in quel momento, che allo stesso modo non ci dicono nulla se non che certa gente comprava certi dischi, ma anche che alla domanda «Che paese è l’Italia nel 1997 basandoci sulla classifica dei singoli?» verrebbe da rispondere: un paese totalmente indeciso. Per tre settimane di fila un pezzo sale al numero uno per poi vedersi detronizzato sette giorni dopo; musica dance, poi pop, poi dance: e alla fine, ecco che tornano i Depeche Mode. Che dicono: vaffanculo ai vostri tormentoni (in un’epoca in cui, volenti o nolenti, c’erano già i tormentoni). E i DM per ben due settimane, con una ballad a fine giugno, si impongono. Tre singoli al numero uno in sei mesi, all’epoca dei dischi fisici, è roba da Grandi Della Musica. O da band con una fan base veramente ossessionata. Home è il terzo chart topper della band dopo i primi due estratti da Ultra: contestualmente, Home è il pezzo che i DM avrebbero portato a Sanremo se fossero stati italiani. Archi barocchi che accompagnano una nenia interminabile con è un’armonia irritante condita con sei suoni di chitarra abbastanza da denuncia.
Quindi, liquidando questa brutta faccenda in quanto tale, facciamo che passiamo a parlare di una delle categorie più belle delle classifiche musicale: Le Eterne Seconde.
Quante volte succede che un pezzo poi passato alla storia non raggiunge mai il primo posto in classifica? Molte. Troppe.
In questo caso, la faccenda tocca a MMMbop. Un capolavoro di intelligenza e saggezza condensato in tre minuti di musica pop, veicolato dalla migliore copertura esistente per una bella canzone: una boyband. Le boyband sono come i virus: arrivano a chiunque in brevissimo tempo. I teenager, specialmente le femmine, li adulano; i teenager, specialmente i maschi, li detestano; gli adulti li sbeffeggiano: ecco fatto. Arma letale della musica: tutti sanno chi sono
In USA, posto bizzarro ma anche a tratti saggio, il brano raggiunge agilmente la numero 1. I teenager che rompono i coglioni alle mamme vincono.
MMMbop è la spensieratezza giovanile, che maschera una neanche troppo latente malinconia: se vi avessero detto che il testo era stato scritto da un adulto, ci avreste creduto. E invece, i tre faccini biondi deviano nettamente il giudizio, portandolo a credere che la band sia un prodotto pop di quelli costruito a tavolino da un tizio avido di denaro, mentre la storia è leggermente diversa. C’è della qualità, e sfiora la pop perfection. Per il resto, è tutto pregiudizio.
La leggenda narra che tutti i discografici avessero rifiutato il disco del trio, ma uno di questi, Steve Greenberg della Mercury, si dice: prima di rifiutare questi mocciosi che sicuramente saranno terribili dal vivo e totalmente diversi da quello che sento nei demo, devo andare a vederli. Lo fa, e al live gli viene la scintilla: suonano, sono bellocci, hanno carisma, si scrivono le canzoni e armonizzano come i Beach Boys. Recluta i Dust Brothers (che han precedentemente lavorato con Beastie Boys e Beck, per dire), che per questioni di tempo e scarso interesse non seguono tutto il disco, ma quanto basta per speed-uppare, per usare un termine tecnico caro alla Gen Z, il pezzo e renderlo quello che è oggi: una sinfonia melodica con tappeti di hip hop che non rischia di infastidire i bianchi (insomma: pop).
La performance vocale di Taylor Hanson richiama più il pop-rock da classifica degli USA piuttosto che l’ondata di boyband che sta travolgendo il mondo. Le armonie vocali ci dicono che gli Hanson sono più vicini a un’eredità artistica dei Jackson 5 che dei Backstreet Boys o dei New Kids On The Block. MMMbop è il pop anni 90 in pieno. È la spensieratezza, le prime cotte, l’adolescenza e l’estate al mare.
Era il 1997: succedeva che una bella canzone, con una bella storiella (i fratelli perfettamente in linea con i talk-show americani visti da mamme e nonne) potesse esplodere senza particolari schemi di marketing.
Negli anni a venire gli Hanson si affacceranno sporadicamente nelle chart italiane come in quelle americane, azzeccando anche qualche altro gran pezzo (vedi alla voce If Only), senza mai riuscire a bissare l’esordio clamoroso, ma costruendo un percorso solido, in costante crescita in parallelo alla propria fan base.
LE PAGELLONE
Home è un 3.
MMMbop è un 10.
If Only è un 9.