#1, 1998. CÉLINE DION — MY HEART WILL GO ON
Numeri Uno, febbraio 1998. CÉLINE DION — MY HEART WILL GO ON
Numeri Uno è la rubrichetta che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli, senza discriminazioni ma con effettivo buon gusto. È la cugina di quella americana di Tom Breihan, che è la cugina di quella inglese di Tom Ewing.
Ci sono canzoni che non dovrebbero esistere, e sistematicamente finiscono per fare la storia.
Io non l’ho mai visto, Titanic. Lo so, lo so: è una di quelle faccende che vive sul confine, labile, tra assoluta scemenza e colpo di genio.
Come sia stato possibile è presto detto:
— al cinema, nel 1998, dalle mie parti non si andava, tranne che a Natale. (La prima memoria che ho di me al cinema è in seconda media: io e amichetto bassista che veniamo scortati sotto la neve imperante dai nostri poveri genitori, costretti a portarci a vedere un cinepanettone quantomeno pieno di zinne e culi. Anni d’oro per la cultura, if you ask me);
— un ragazzino di dieci anni non era nemmeno propriamente il target di riferimento del film;
— durante l’adolescenza il mio unico must era il rigetto di qualunque cosa fosse troppo pop o per le masse — però sempre seguendo un’etica di grande onestà, che significa: tutto ciò che è plastica è merda, tutto ciò che fa parte del Lavaggio Del Cervello Collettivo lo ripudiamo, però quando capitano cose pop bellissime le amiamo e lo diciamo senza problemi a tutti, anche allo skate park, anche a costo di venire insultati e malmenati (Tiziano Ferro, ce l’ho con te: ma 111 era un disco talmente magnifico che ti avrei difeso in ogni caso);
— un anno, in vacanza studio, c’era la movie night e tutti si erano fiondati nella sala cinema a godersi il film, che accidentalmente era però proprio il Titanic; quindi mi ero visto costretto dalle circostanze ad abbandonare momentaneamente il tentativo di convincere quella che mi piaceva a innamorarsi di me e avevo disertato — e allo stesso tempo costretto i miei compagnucci di gang a stare fuori con me a giocare a calcio con un pallone sgonfio per le stradine del college, il tutto facendo un gran casino da ultrà appena fuori dalla stanza cinema, per poi entrare durante il finale e gridare «È già morto?» e far ridere i maschi e imbufalire le femmine.
— durante l’età adulta: perché mai avrei dovuto? Con tutto che svariate fidanzate ci hanno provato, qualcuna anche insistentemente, e qualcuna ci era quasi riuscita anche con un certo moto d’orgoglio, per poi vedere quel sogno frantumarsi fra le mani: non aveva niente a che fare col film, ormai, quella mia resistenza stoica. Aveva a che fare con quel record di essere l’unico imbecille vivente che ancora non aveva mai visto Titanic e mai l’avrebbe visto, e che godeva nel farne un vanto. Era la mia medaglia al valore: Titanic? Tsk, mai visto. «Noi facciamo quel cazzo che vogliamo», cantavano le Porno Riviste, che incidentalmente sono pure state il mio primo concerto nel 2000.
(Qualche settimana fa, prima che nascesse mia figlia, ho chiesto alla mia compagna: «Ma ce lo guardiamo Titanic?», cosa che lei ignorava svariate ragazze prima di lei avrebbero pagato per sentirmi dire. Lei ha bofonchiato che era lungo tre ore, e tre ore erano troppe, e quando le ho confessato di non averlo mai visto m’ha spernacchiato. Quindi, non dite che alla fine non c’ho provato).
Comunque: il dolore è già di per sé un sentimento universale, figuriamoci quando ci si mette di mezzo Hollywood. Non importa dove foste quando è uscito Titanic, se state pensando a Leonardo Di Caprio o a un amato lontano, conta una solo cosa ascoltando mai art uill go on: che piangiate insieme a Céline.
Canzoni che non dovrebbero esistere, dicevamo. Già, perché James Cameron — che si era speso anima e ccore per il progetto Titanic, che tutti davano per fallimentare —non voleva di certo sporcare il suo capolavoro con Becere Canzoncine Pop. E fu così che un altro James, James Horner, a cui era stata affidata la colonna sonora del film, suggerì di utilizzare Céline Dion, con cui aveva già lavorato in precedenza, come voce per Il Famigerato Brano Pop che avrebbe potuto risollevare le sorti del film secondo Tommy Mottola, boss di Sony Music all’epoca. Horner fece sentire il brano a Dion, che lo trovò brutto. Veniva da due brani di grande successo, anch’essi legati a dei film, e non vedeva perché avrebbe dovuto ripetersi; in più non le piaceva come Horner cantava il brano e non ci si vedeva. La convinse René Angelil, suo manager e marito. Céline fece una take. Una demo, si dissero. Che è poi la voce che ascoltiamo ancora oggi su My Heart Will Go On. Quell’unica volta che la cantò in studio, incidendo un pezzetto di storia della musica leggera degli anni novanta, e anche di cinema. Aneddoto incredibile, eh?
Peccato si riferisca alla versione che sta nel film, che in realtà non è quella che tutti noi conosciamo. Perché quella che fu poi commercializzata, venduta, suonata, resa parte della storia della musica pop, è quella prodotta, anzi, ri-prodotta, da Walter Afanasieff, storico collaboratore e produttore di Mariah Carey, che venne coinvolto per produrre il brano e farne una versione per tutti. (Per tutti è un termine prettamente discografico. Non sappiamo se qualcuno l’abbia detto veramente, ma voglio immaginare che sia andata più o meno così e so di non andarci troppo lontano). Afanasieff lo fece, e fece anche abbastanza un gran lavoro, e in alcune interviste concesse negli anni successivi smentì totalmente il falso mito dell’unica take. «Céline fece la sua voce con me. Fece una registrazione sul demo che hai sentito nel film. Ma ogni volta che parli del grande singolo — che è quello che è nel suo album, la canzone che ha vinto il Grammy Award come disco dell'anno — è quello di cui stiamo parlando. Non posso essere d'accordo con tutte queste altre storie assurde di 'buona la prima'.»
(Afanasieff e Dion non hanno mai più lavorato insieme: va’ a capire perché).
La produzione di Afanasieff è perfetta, perché la senti, ma non la vedi: è quello che dovrebbe succedere nei Brani Perfettamente Pop. C’è, ha il suo onesto carattere, ma soprattutto fa quello che deve: accompagna la cantante tanto quanto l’ascoltatore, non si perde in manierismi inutili e riesce a farlo pur mantenendo un onesto gusto, pop ma anche vagamente etnico, che sembra una parolaccia per la musica tante volte, ma in questo caso è sinonimo di scelte d’arrangiamento totalmente azzeccate. Un perfetto tappeto per il talento, il pathos, il dolore di Céline. È quello che, a conti fatti, Afanasieff aveva fatto sulle ballad di Mariah Carey, ma in modo più cinematografico, che poi è proprio quello che serviva al brano per diventare un classico del karaoke da lì ai secoli successivi — o quantomeno fino a quando le intelligenze artificiali non ci rimpiazzeranno anche in quello.
Già all’Italia nel 1997 e 1998 piacciono le ballad, come garantiscono le seicentosettanta settimane passate al #1 da Elton John per ricordare Lady Diana: figuriamoci una ballata così, legata a un evento pop oggettivamente devastante per grandi e adolescenti come fu Titanic all’epoca. Tempo fa qualcuno su Twitter chiedeva un aggettivo per definire My Heart Will Go On, e la prima cosa che a me è venuta in mente è «irlandese», che poi fa parte di quel filone di considerazioni per cui prima ho detto etnica. Irlandese per via di quel flautino — dio mi perdoni — westlifiano, che tanto aiuta a introdurre l’ascoltatore nel mondo romantico e addolorato di Dion. E questo è tutto ciò che ho da dire sul pezzo: tecnicamente mostruoso, vocalmente impeccabile, bellissimi gli aneddoti. Per il resto è Musica Pop Per Le Masse, ben fatta, di quella che ti fa la storia, ti vende i milioni e quant’altro, ma non proprio di quella che ti cambia la vita. Mi spiego: Afanasieff ha prodotto alcune cose che ho conficcate nel cuore (I Knew I Loved You, che arriverà prima in classifica anche negli Usa, su tutte: gran gioiello di pop di classe) ha fatto il suo egregiamente, il talento di Dion è innegabile, così come la sua interpretazione e la sua intenzione e tutto quello che fa. Però è tutto tanto, troppo puccioso, come se mancasse quel quid in più che rende una cosa oggettivamente impeccabile perfetta. Per capirci, tipo Brian Adams in Everything I Do (I Do It For You).
Cosa ci lascia, quindi, My Heart Will Go On a parte un classicone per i karaoke sbronzi in Paolo Sarpi o sui navigli? Sicuramente questa incredibile cover pop-punk dei New Found Glory. Titanic alla fine ha fatto i suoi discreti numeretti, nonostante La Canzone Pop che l’ha trainato (io, a posteriori, direi anche grazie a).
Nel frattempo, durante la prima settimana di regno di Dion, alla #2 si affacciava, per quando assurdo per l’Italia, Walkin’ On The Sun.
È colpa di Mtv. O merito di. Io vivevo su Mtv. La televisione del soggiorno, nel 1998, era costantemente monopolizzata da me decenne che nascondevo il telecomando e lasciavo fisso su quel canale monotematico. Che, in quel periodo, passava spessissimo gli Smash Mouth. Così tanto che comprai anche Fush Yu Mang, loro disco d’esordio, prodotto da uno dei geni della produzione del decennio successivo, Eric Valentine (discografia che varia dai Queens of the Stone Age a Slash agli dei dell’emo come Taking Back Sunday e All American Rejects e altri che sto scordando). Il disco era uyn esperimento abbastanza brutto che fondeva ska e punk e pop, ma che comunque conteneva questo pezzo assurdo e efficacissimo allo stesso tempo. Gli Smash Mouth, dopo questa, parevano essere la classica band che finisce per essere catalogata negli One Hit Wonder: un pezzo, poi il baratro. Chi l’avrebbe mai detto che gli sarebbe, poi, uscito un pezzo che avrebbe soppiantato tutta la loro discografia precedente come All Star?
(Certo, forse sto dimenticando il loro coinvolgimento nella colonna sonora di Shrek, ma magari poi su quello ci arriveremo negli anni duemila).
Alla #6, non si capisce perché, compare Angels di Robbie Williams. Cosa si dice di un pezzo mastodontico come Angels, per di più mentre la scusa principale era parlare di un altro Pezzo Di Storia come My Heart Will Go On, che comunque finisce per surclassare? Cosa si può raccontare di Angels che possa rendere tributo a una di quelle canzoni eterne, che pure vent’anni dopo sembrano sempre esistite? Che effetto avrà fatto sentirla per la prima volta? La gente si sarà accorta che era un Capolavoro che avrebbe a) cambiato la carriera di Robbie b) cambiato la storia delle ballad dei funerali e dei matrimoni? (Di Robbie abbiamo già trovato modo di parlare brevemente qua, e fortunatamente l’Italia si rivelerà un paese intelligente, spedendolo al #1 qualche altra volta — anche e soprattuto con pezzi discutibili della sua fase d di carriera discutibile, ma non cavilliamo più di tanto, va’). Robbie Williams ha incidentalmente anche cantato una canzone che incontreremo negli anni successivi e che è quella che c’era in sottofondo in ospedale mentre mia figlia nasceva. Vorrei scrivere seicento righe su questa cosa, ma ci sarà tempo. Per il resto, preparatevi a una valanga di altre #1 da qui alle prossime settimane: finalmente le chart diventano interessanti.
LE PAGELLONE
My Heart Will Go On è un 8.
I Knew I Loved You è un 10.
Everything I Do (I Do It For You) è un 10.
Walkin’ On The Sun è un 7.
All Star è un 10.
Angels è un 10. Un 12. Un 13.