Numeri Uno è la rubrichetta che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli. È la cugina di quella americana di Tom Breihan, che è la cugina di quella inglese di Tom Ewing.
[L’altro giorno ho letto un’intervista a Valerio Lundini in cui dichiarava di amare i musical pur essendo «serenamente eterosessuale», e ho pensato che la stessa frase si potesse applicare a me riguardo a Frozen di Madonna.
A seguire, un siparietto dei Griffin di almeno un decennio fa che, proposto oggi, verrebbe probabilmente inondato di critiche, mentre per quel che mi riguarda dovrebbe semplicemente dare il là a svariate considerazioni sul rapporto tra Musica Pop e Omosessualità; un rapporto strettissimo nella testa di un sacco di gente la cui caratteristica principale è essere assolutamente imbecille, e quanto più una credenza da Spogliatoio di Calcetto; ci sarebbe da aprire una parentesi Klostermanniana su questa faccenda, che però porterebbe via troppo tempo rispetto al nostro focus principale, e cioè: solitamente parlare di canzoni che finiscono in cima alle chart, e oggi più che mai parlare di una canzone incredibile. Facciamo che la discussione la salviamo per quando sfioreremo l’assoluta regina del pop di fine anni 90, e cioè Santa Britney Liberata (cit).]
La fortuna di guardare il passato con la consapevolezza del presente è poter accertare che Madonna, in quanto Vera Grande Popstar Del Secolo Scorso, è riuscita nell’impensabile impresa di durare svariati decenni. Al contempo, bistrattata dalla critica tanto quanto adorata dai fan — cosa comune, tra le pop star —; eppure, a posteriori, è riuscita in qualcosa in cui sia tutte le sue competitor che tutte le sue eredi non sono riuscite: smarcarsi dall’etichetta di Fenomeno Pop e imporsi come popstar anche nella seconda fase della sua carriera (se poi parliamo di lei, pure nella terza, ma affrontiamo una cosa per volta), raggiungendo picchi artistici che nemmeno i critici più feroci le hanno potuto negare. In più, ci è riuscita ribaltando le aspettative musicali che si avevano su di lei, reinventandosi sempre, anche a costo di commettere oscenità pseudo-artistiche (American Life e Bitch I’m Madonna, sto guardando proprio voi). È il rischio di chi osa, del resto, di chi ha coraggio, e se prendiamo l’andamento del pop di fine anni 90, Madonna ne ha avuto parecchio.
Madonna voleva fare hit. Hit per restare rilevante, hit per dimostrare che aveva ancora fame, hit per sfatare il mito di essere soltanto una lucky girl. Ray Of Light è un disco inaspettatamente maturo, dove Madonna sblocca un nuovo modo di cantare, calmo e preciso, contraddistinto dalla totale assenza di manierismi inutili, coaudiuvato da tappeti a volte rave a volte trip hop figli del momento, ma mai smaccatamente modaioli. È forse qui la forza di Madonna: riuscire a piegare i suoni a suo piacimento portandoli nel suo mondo, piuttosto che semplicemente cavalcare un’onda sonora. (È qui che riesce, tutto sommato, pur con le dovute differenze, a superare Michael Jackson, le cui ultime produzioni lo videro vittima dei suoni, perso nella confusione della modernità). Ray Of Light segna il suo ritorno sulle scene, e ottiene tutto questo grazie a un ingegnoso un cambio alla produzione. Un cambio strategico a livello sonoro tanto quanto intelligente, che diventerà un tratto distintivo della Fase Due della carriera di Madonna: anticipare le mode. Qui Madame Ciccone si va a prendere un genietto dell’elettronica contemporanea, William Orbit, che riesce a incorporare — senza rendere il tutto una macchietta — ciò che di meglio offre il genere (e l’avanzamento tecnologico che a fine ‘90 guida l’elettronica a braccetto).
Frozen è il primo singolo del progetto, il Grande Ritorno Sulle Scene, e non potrebbe esserci stata una scelta migliore. Madonna ci mette l’emozione, mentre Orbit incorpora quello che forse è l’ultimo ruggito mainstream del trip hop, facendo muovere i sample di drums e il basso dub tra gli archi (gloriosi e maestosi) di Craig Armstrong, rendendo il tappeto musicale elegante, efficace, emotivo e incisivo.
C’è mistero, c’è il gelo del titolo, c’è anche una sezione d’archi (a metà brano) da colonna sonora, che continua il dialogo tra Madonna e il suo interlocutore di ghiaccio; c’è un’interpretazione vocale in cui Madonna fa Madonna, senza scimmiottarsi, senza ricalcarsi, senza lanciarsi in cose impossibili, anzi facendo trasparire tutta l’onestà del pezzo. È il suo nuovo trend, che le permetterà di accedere a nuovi livelli di empatia con i suoi ascoltatori, come dimostrerà in altri episodi dell’album (su tutti The Power Of Goodbye. Altro gran pezzo.)
Frozen è un brano etereo, dark e incredibilmente efficace nonostante il ritornello non dica fondamentalmente niente.
Il video segue la canzone, e non è un caso. Madonna, in quegli anni, trova interesse nel misticismo, nella Cabala ebraica, e con questo ha molto a che fare la nascita della sua prima figlia, Lourdes (forse la prima figlia di popstar dal nome bizzarro che io ricordi in vita mia); le immagini, splendide, la ritraggono in una veste da quasi-strega, in totale coerenza col brano. E in un’epoca di totale dominazione di Mtv, di certo aiuta e influisce sull’esito nelle chart: in Usa si ferma alla #2, mentre in Uk regala a Madonna un’altra #1. Qui da noi sbatte giù dal gradino più alto del podio la signora Titanic, Céline Dion, anche se per una sola settimana, perché nella cultura pop il dolore collettivo e il marketing vincono sempre, tuttavia lasciando comunque il segno grazie a un’apparizione a Sanremo, e con Madonna in forma assolutamente splendida (e che scambia palesemente Vianello per Pippo Baudo). (Se volete vedere che look ha l’antichità, guardate il video dai 7:00 circa).
È finita qua? Non è finita qua.
Nel 2021 Sickick, un dj/producer/vocalist canadese che si nasconde dietro una maschera di suo, senza partecipare a talent show per cantanti d’altri tempi, remixa il pezzo, e il brano esplode su Tik Tok (il luogo dove fondamentalmente si sconta il contrappasso del marketing moderno: ogni giorno vengono pubblicate 100.000 canzoni nuove scritte più o meno appositamente per Tik Tok, mentre lì esplodono i brani di 25 anni prima). Un po’ trap, un po’ edm, e totalmente in linea col catalogo di Sickick (che è sconosciuto ai più, ma è un assoluto talento in quello che fa, cioè remixare roba altrui), il pezzo non migliora; ma avete mai visto un remix migliore dell’originale negli ultimi vent’anni? La strofa di Sickick ricalca quello che fa sempre l’artista — una sorta di The Weeknd meno esplicito —, e, diciamocelo, produttivamente è un po’ scarna, varcando la soglia di quel confine maledetto tra Pigrizia e Minimal. Manca tutto ciò che rende l’originale etereo ed eterno, ma viviamo tempi bislacchi e va a finire che è comunque un tipo di produzione più digeribile dalle nuove generazioni, a tal punto da finire a essere nominato per un Grammy Award come Best Remixed Recording, Non-Classical.)
Cosa ci resta di questo pezzo anni dopo, remix a parte? Non è che Frozen abbia lasciato una vera e propria eredità in sé: non è un tipo di sound che è stato inseguito né tantomeno replicato, neanche da Madonna stessa — che, tipicamente, cercherà sempre, da qui in poi, di non fare mai lo stesso disco due volte. Resta però un pezzo fondamentale nella svolta della sua carriera, e anche un gran bel tassello di musica pop degli anni 90. E non è affatto poco.
IL PAGELLONE
Frozen è un 10.
The Power Of Goodbye è un 8.
American Life è un 2.
Bitch I’m Madonna è un 1.
Frozen (Sickick Remix) è un 8.