Numeri Uno è la rubrichetta che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli. È la cugina di quella americana di Tom Breihan, che è la cugina di quella inglese di Tom Ewing.
Geri se n’è andata e non ritorna più.
Ogni band che si rispetti ha la sua eccellente dipartita, e questa sorte non poteva non toccare anche alla girl band per eccellenza dei 90s: le Spice Girls.
Durante la loro breve ma folgorante carriera non erano mai riuscite a raggiungere la vetta della chart dei singoli in Italia: le avevamo recentemente incrociate nell’estate 1998. Perché all’Italia piacciono le tragedie, musicali e non, e quindi così come la morte di Lady D aveva avuto una risonanza mediatica tale da spingere la canzone/tributo di Elton John prima per mesi, il gossip sullo scioglimento delle Spice aveva spedito Viva Forever, il loro Presunto Ultimo Singolo, fino alla #2. Ma è Goodbye, La Canzone Dell’Addio Ufficiale, che le spedisce per la prima volta alla #1.
Le Spice erano state la risposta definitiva alla domanda che tutti gli entusiasti del pop si erano sempre fatti: cosa succederebbe se si formasse una band di ragazze invece che di maschietti e si desse loro un repertorio degno di nota? Imploderebbe o farebbe la storia? La discografia era, storicamente, sempre stata terrorizzata dal provarci, basandosi su un assioma («Le ragazze non comprano musica fatta dalle ragazze») che si sarebbe rivelato falso.
E se il britpop, intrinsecamente legato all’ascesa in America del grunge, aveva sdoganato ragazzi che vestivano e parlavano come tutti, fortemente working class, adesso era di nuovo l’ora del pop, scintillante e pieno di vita e positività: ai teenager servano degli idoli nuovi, esempi forti, apparentemente vicini e inarrivabili. E dallo Uk agli Usa il popolo aveva parlato: la Spice Mania era stata contagiosa e non aveva risparmiato nessun paese al mondo.
Era successo in un attimo, era successo da subito: dall’uscita di Wannabe in poi.
Wannabe è un pezzo di storia della musica.
E non tanto per la parte musicale in sé — che, comunque, rappresenta la quintessenza degli anni novanta: colorata, allegra ma con un messaggio, cazzuta e sexy; insomma, per tutti —, ma più per l’aver spinto nella società e nella coscienza collettiva l’idea di girl power su cui la band costruì una carriera. Wannabe spacca le chart in Uk e in Usa, cosa rara per un act inglese, nel 1997. Fa meglio di tutti i connazionali, dagli Oasis ai Blur, e chissà quante union flag saranno state vendute dopo che la band l’ha indossata ovunque.
Ne parla ampiamente Reach for the Stars: 1996–2006: Fame, Fallout and Pop’s Final Party di Michael Cragg, che ripercorre attraverso interviste e testimonianze l’epoca d’oro del pop Uk di fine 90 e inizio millennio.
Le Spice sono sì assemblate dalla Heart Management secondo criteri ben precisi — ognuna deve avere la sua personalità, come fosse il cast di un film: non a caso ognuna di loro finirà per avere un nickname —, ma le ragazze formano un fronte unito, una reale amicizia, co-scrivono davvero le loro canzoni e la casa dove band vive diventa la loro comune. Il loro carisma le porta addirittura a non firmare nessun contratto con quelli della Heart, dopo ripetuti scontri sulle idee artistiche e estetiche che le ragazze hanno (e ne hanno, e ne hanno di giuste); fino a firmare con Simon Fuller, noto manager, che dopo una bidding war di svariate discografiche che sono accorse a vedere lo showcase delle Spice le porta a sua volta a firmare con Virgin.
Dopo la firma, però, la label si impone che Say You’ll Be There, una ballad americana filo-TLC, deve essere il singolo d’esordio; ma le cinque sono veramente determinate: Wannabe è il loro manifesto.
Wannabe è quella giusta. Ne sono convinte. La spuntano, e hanno ragione.
La Spice Mania porta a due album e un film (dimenticabile, ma comunque parte della loro eredità novantosa) in pochissimo tempo, un classico dei progetti costruiti a tavolino nonostante questo sia, forse, tra tutte le boy/girl band quello più genuino di sempre. Geri se ne va a metà del tour del secondo disco, colpita dalla sindrome di Robbie Williams, credendo di poter far successo da solista e di non aver bisogno delle altre, alla faccia del girl power. Ma questo non può, e non deve, fermare la macchina discografica che macina quattrini alle (sulle?) spalle delle rimaste. Quindi va a finire che l’addio a Geri, e ai fan, è delegato a un pezzo dimenticabile, pre-esistente alla dipartita di Ginger Spice e concluso appena dopo l’annuncio.
Se il video pare essere un documentario sugli husky inframmezzato ai musi tristi delle quattro superstiti, il brano è inconsistente, vacuo, paraculo e retorico come il video. Una girl band, anzi, la girl band per eccellenza meritava di meglio? Assolutamente sì. Dal titolo in poi, è tutto parte di una cinica operazione natalizia — e rientra di diritto nella categoria Che Gran Peccato, col senno di poi, per non aver consegnato ai posteri La Ballad Della Carriera al posto di questa. Il testo è troppo debole per potersi permettere di varcare il confine dei fan della band e piacere ad altri ascoltatori; musicalmente è tutto molto, troppo, in linea con gli standard delle ballate del repertorio delle cinque, ehm, quattro; lo special sanremese con gli archi è quanto di più cheap si potesse pensare. Si salva giusto la performance vocale di Mel C, effettiva leader vocale ora più che mai.
Il brano, poi, sottolinea come il quartetto non funzioni — e non a caso il disco che tenteranno di fare senza Geri dimostrerà tutti i limiti della scelta; non tanto per l’assenza di Geri in sé, ma per la mancanza di quel quid in più che l’unione delle cinque personalità forti che le Spice avevano creava.
(Qui sotto, in omaggio, il tremendissimo finto-rnb-futuristico-anni-2000 lead single Holler).
L’eredità delle Spice è una bolla di qualche anno in cui hanno avuto la lungimiranza e il coraggio di spostare l’asticella del pop-per-tutti con contenuti, fatto con intelligenza e spontaneità. Le loro competitor inglesi hanno avuto vita breve, dalle All Saints alle B*Witched (anche se un paio di eredi, Girls Aloud e Little Mix, regaleranno comunque buone dosi di pop nel futuro dello Uk); così come, e possiamo dirlo senza indugi, ebbero vita breve le carriere soliste delle nostre.
Geri otterrà qualche successo sparso, con un paio di lampi buoni: la madonniana e ridicolissima e splendida Mi Chico Latino e la cover di It’s Raining Men);
lo stesso vale per Emma (il bell’episodio la dolcissima What Took You So Long, ma poco altro);
e idem per Mel C, il cui un disco d’esordio Nothern Star fu molto (troppo?) eclettico, dal pop/rnb di Never Be The Same Again alla house di I Turn To You);
Il tutto, però, si rivelerà un grande nulla rispetto all’isteria di massa che aveva contraddistinto il fenomeno e l’ascesa delle Spice Girls e alterato gli equilibri della discografia pop mondiale.
Il pop c’era, e di lì a poco avrebbe mostrato come e quanto poteva essere ancora estremamente rilevante nelle classifiche.
LE PAGELLONE
Viva Forever è un 7.
Goodbye è un 5.
Wannabe è un 9.
Say You’ll Be There è un 6.
Holler è un 3.
Mi Chico Latino è un 8.
It’s Raining Men è un 8.
What Took You So Long è un 8.
Never Be The Same Again è un 8.
I Turn To You è un 6.