Numeri Uno è la rubrichetta che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli, senza discriminazioni ma con effettivo buon gusto. È la cugina di quella americana di Tom Breihan, che è la cugina di quella inglese di Tom Ewing.
Che cazzo. Dopo estenuanti Numeri Uno in cui siamo stati costretti a parlare d’altro, finalmente anche in Italia arriva la modernità in vetta alla chart Fimi. E la modernità, nel 1997, è il Brit-Pop. Sì, ok, il Brit-Pop nella sua fase discendente, ma meglio una brutta canzone Brit-Pop che una media canzone New Wave.
Dopo What’s The Story, Morning Glory?, uno di quei cinque dischi che ci dovrebbero far esprimere gratitudine agli anni novanta pressoché quotidianamente, ma pure all’esistenza, agli dei, a quello che vi pare, gli Oasis si trovano davanti a una sfida infame: bissare un disco atomico, che già era sequel di un disco d’esordio atomico, e dichiarare che sì, la corona di band-re-degli-Uk è proprio la loro. (Una volta, in una diatriba tra fan di Blur e Oasis, uno dei due sosteneva che i Blur facessero musica per l’uomo pensante, mentre gli Oasis erano relegati a fare musica per gente che va al pub. E la cosa mi trova d’accordo, dovrebbe trovare d’accordo chiunque abbia un po’ di lucidità. Il fatto, che a quel tizio sfuggiva, è che il pub è in ognuno di noi, la birra e lo schiamazzare e l’indole da hooligan fanno parte del corredo genetico dell’uomo, dal midollo al cuore: è una faccenda di gameti. Ecco perché gli Oasis hanno, da sempre, fatto canzoni migliori dei Blur. Della diatriba Oasis VS Blur abbiamo parlato un po’ qua). Noel Gallagher, mente creativa della band, sceglie di fare quello che sa fare meglio — e di farlo louder. Be Here Now, in qualunque retrospettiva leggiate, scoprirete che è un disco figlio della cocaina — e si sente.
Assoli lunghissimi, testi biascicati e polemici, gli elicotteri nel video, gli immancabili trench: sono gli Oasis all’ennesima potenza — non forza; potenza. Come stessero scendendo in guerra. «All my people, right here right now, d’you know what I mean?»: D’you know what I mean? è l’apripista dell’album, che ritrova i manzoniani arroganti e pronti a conquistare le folle. È un disco di Maschi Alfa per Maschi Alfa. È testosterone, è una lunga mania di grandezza (con qualche ballad, perché anche al pub si parla delle ex fidanzate.) Il grande dubbio è se sia psichedelia artistica o semplice mania di grandezza, ma poco conta: per due settimane i Gallagher raggiungono e mantengono la vetta della classifica italiana con il primo singolo dal nuovo disco, spasmodicamente atteso in tutta Europa (meno in Usa, che snobba come sempre i fenomeni Uk).
I grandi proclami, gli scontri della band con la stampa: tutto propedeutico e contestuale ai sette (inutili) minuti della traccia. Certo, non è la più alta vetta della loro carriera, come non lo è Be Here Now: il disco, però, regalerà due grandi perle — ovviamente passate inosservate nelle chart, anche nella loro madre patria: Stand By Me e Don’t Go Away — e un altro pezzo che ritroveremo in cima alle chart nel 1998.
LE PAGELLONE
D’you know what I mean? è un 8.
Stand By Me è un 10.
Don’t Go Away è un 10.