Numeri Uno è la rubrichetta che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli.
Qui trovate l’elenco di tutte le Numero Uno commentate, anno per anno, in continuo aggiornamento.
È il 2000, e nel 2000 tutto ciò che riguarda la Musica Pop Che Funziona è fatto dagli scandinavi, e nella fattispecie nella maggior parte dei casi dal Re Mida della Musica Max Martin. Di Max Martin abbiamo già parlato innumerevoli volte, come è giusto e anche inevitabile che sia: se però eravate distratti, potete fare un ripassone di Backstreet Boys e Britney Spears.
Bene: proprio quando è il pop a trionfare, proprio quando non sembra che il mondo voglia ascoltare altra roba, proprio quando i Bon Jovi sembrano una band ormai relegata al passato, al rock-da-capelloni-anni-80 (fa ridere, ma del resto così è chiamato: hair metal), alla nostalgia per un decennio ormai evaporato — ecco che arriva It’s My Life.
Che apparentemente non ha nulla a che vedere con Britney Spears e Backstreet Boys, e invece ne ha eccome.
It’s My Life è un pezzo interessante non tanto perché cambia il corso della musica, quanto più perché rappresenta un passaggio che farà in modo che il corso della musica cambi, di lì a qualche anno, anche grazie a lei. È l’approdo di Max Martin nella Musica Per Adulti: rappresenta un unicum nella sua carriera, fino a quel momento relegata a boyband e progetti per teenager. It’s My Life è la prima, ma nel modo più assoluto, non ultima, volta che Max Martin sarà parte di hit trasversali.
Solo la settimana prima rispetto alla prima settimana in cui It’s My Life si prende la #1 in Italia, un altro pezzo prodotto e scritto da Max Martin è primo in classifica in Italia, come nel resto del mondo: L’Incredibile Ritorno Della Britney aveva sbancato tutto, Mtv inclusa, e aveva ammaliato l’intero mondo sotto ai vent’anni con la sua tutina di latex rossa.
Fino a qui, tutto normale. Sono i Bon Jovi che rappresentano un’anomalia.
Ogni band fa il suo corso, e la band di Jon Bon Jovi sembrava aver fatto il suo. Grandi successi e tour sold-out in tutto il mondo e una serie di hit notevoli che oscillavano tra gli inni da stadio (Livin’ On A Prayer, la loro hit più gloriosa, a You Give Love A Bad Name) e le ballate devastanti (Bed Of Roses, I’ll Be There For You, Always) tra gli 80 e i 90: poi, il declino. Un paio di dischi, Keep The Faith e These Days, non riuscitissimi, sì in termini di riscontri numerici ma soprattutto in termini in qualità. Qualcosa si è rotto, e quel qualcosa si chiama ispirazione. Jon tenta la carriera solista — che fa ridere, pensando che la band stessa porta il suo nome, santi numi, ma tant’è — arrivando anche primo in Italia con un singolo più che onesto. Ma l’impressione rimane: forse la fiamma s’è spenta. Forse i Bon Jovi hanno dato tutto quello che potevano dare? Forse il mondo è cambiato troppo per poter accogliere qualcosa di loro?
Con tutto il rispetto per la band — una di quelle di cui ho ingurgitato l’intera discografia durante l’adolescenza, anche se inizialmente più per osmosi, grazie fratellone maggiore — quello che è cambiato è l’uomo di cui parliamo più spesso qua dentro: Max Martin.
Sì, perché la leggenda narra così: la label di Bon Jovi ascolta il disco che Bon Jovi ha iniziato a scrivere prima da solo, poi con la band, dal titolo provvisorio Sex Sells; dall’ascolto dei demo, però, ne esce insoddisfatta. Mancano i singoli, mancano le hit. (Non lo dicono sempre? A me pare che metà dei racconti delle canzoni di vent’anni fa comincino così. Ma comunque).
Perché non provare a scrivere con dei songwriter?, suggeriscono.
I Bon Jovi in fondo non sono degli estranei alla pratica, indipendentemente dalle implicazioni di posizionamento e di ideologia, anzi. Desmond Child, prolifico autore tra gli 80 e i 90, è (co)autore di due dei loro più grandi successi, Livin' On A Prayer e You Give Love A Bad Name.
[Child ha grande fortuna con la parola Livin’, tant’è che quando gli chiedono di scrivere un brano spanglish per la stella nascente del pop latino Ricky Martin la chiamerà Livin’ La Vida Loca. Andrà abbastanza bene). (Su Livin’ La Vida Loca avrei un miliardo di cose da dire, ma purtroppo non ne ho né il tempo né il modo, dato che l’Italia decide di non spedirla mai al #1. Italiani brava gente, italiani dal cuore d’oro un par di palle).]
Tornando alla faccenda Bon Jovi/autori:
Bon Jovi e Sambora (chitarrista dell band, co-autore di tutto con Jon, nonché Mignolo del Prof Bon Jovi) hanno sempre dichiarato di aver scritto tutto loro, con qualche parola qua e là, un po’ alla stessa maniera in cui la prima volta che ho dato una mia canzone a un artista quell’artista andava facendo interviste radio/tv dicendo che la canzone semplicemente «era venuta da dentro», e io avevo pensato «sì, ti è venuta da dentro, ma da dentro Sony, che ti ha girato il pezzo che avevamo scritto noi il mese prima»; ma, indipendentemente dal trend Artisti Che Fingono Di Scrivere Canzoni, e in modo anche un po’ ingenuo credono che questa cosa gli dia un rilievo differente, maggiore, come se alla gente fregasse alcunché di autori e produttori e chi fa cosa, come se alla gente fregasse alcunché di diverso da «mi emoziona / non mi piace». Diciamo che, se Bon Jovi e Sambora fossero sotto processo, questo demo di Desmond Child metterebbe a tacere qualunque dubbio su quanto hanno scritto i due di Livin’?
Perché non provare a scrivere con dei songwriter?, avevano suggerito i discografici. Ecco così che Jon e Ritchie vengono catapultati di sessione in sessione in cerca della Hit con la H grossa grossa. Dalle sessioni di Desmond Child esce One Wild Night. Che è un buon pezzo, e che verrà usato come singolo del disco live One Wild Night 2001, in versione leggermente remixata e più radiofonica rispetto a quella comparsa in Crush.
Ma Crush non ha ancora Il Singolo. E qui entra in scena Max Martin.
Max Martin è l’attuale dio del pop, nel 2000, ma è anche uno con un passato in una band metal; chi, quindi, migliore di lui per scrivere un pezzo credibile ma anche dall’appeal radiofonico per i Bon Jovi?
Qui le leggende e gli aneddoti vanno in un milione di direzioni differenti.
C’è una versione della leggenda che dice che Max Martin e Bon Jovi e Sambora si trovarono a scrivere dei pezzi, ma dopo due giorni non avevano ricavato granché; allora Max Martin con un colpo di tacco dell’ultimo minuto sfodera il brano, già scritto, e Bon Jovi e Sambora ne ritoccano delle parti; c’è una versione della leggenda secondo cui Max Martin ha scritto il pezzo modellandolo sul template di Larger Than Life dei Backstreet Boys (e armonicamente il discorso regge); c’è una versione che dice che ci sia stato un litigio su come avrebbe dovuto suonare il pezzo, e che Max Martin una volta ascoltato il mix definitivo della canzone abbia richiesto di togliere il suo nome dai crediti di produzione. (Se ascoltate gli stems del pezzo, che si possono trovare in giro, sentirete il dna di Max Martin pressoché ovunque, specialmente nella ritmica e nella scelta dei sample). C’è una versione, infine, che è quella che il duo Bon Jovi/Sambora portava avanti nelle interviste, secondo cui Max Martin non avesse contribuito alla composizione, ma fosse semplicemente presente nella stanza e quindi da buoni samaritani i due avessero deciso di accreditarlo comunque. (Questa è la versione della leggenda che, e lo dico da fan di Bon Jovi, chiameremo la versione Farabutti).
Qualunque sia la verità: il pezzo è uno smash. Fa tornare i Bon Jovi una band cool, tra l’alta rotazione su Mtv e quella nelle radio, e It’s My Life si rivela una hit crossover a livello mondiale.
Oltre ad avere un ritornello assolutamente iconico, la genialità del pezzo sta nell’arrangiamento e in alcune scelte testuali. Intanto: ma che incipit è «This ain’t a song for the broken hearted»? Poi: vengono ripresi Tommy e Gina (Tommy and Gina, they never backed down), già protagonisti di Livin’ On A Prayer; e altrettanto geniale è, esattamente come su quel pezzo, riproporre il protagonismo del talkbox di Richie Sambora (un effetto per chitarra, che permette di modificare il suono della chitarra cambiandone la formante usando un tubo per mandargli degli impulsi per farlo somigliare alla voce umana — banalmente: quel waaaaah waaaah che sentite all’inizio del pezzo). A chiudere il cerchio una frase che, stando alle dichiarazioni di Cip e Ciop (giuro che ero partito a scrivere di questo pezzo da grandissimo fan dei Bon Jovi, per uscirne con le convinzioni sui due songwriter abbastanza distrutte), Bon Jovi ha inserito pur senza il consenso di Sambora: «Like Frankie said, I did it my way».
[My Way è la più bella canzone mai scritta nella storia della musica, e non riuscirete di certo a convincermi del contrario in alcun modo) Aneddoto divertente: My Way, nata in francese, ha trovato grande successo nella versione in inglese di Frank Sinatra. Il testo era firmato da Paul Anka. Quando Paul Anka, nel 2005, rifà It’s My Life canterà: «Like Frankie said, he did it my way». Geniale. Meta-musica. (Sotto, vi allego anche la non-altrettanto-famosa-ma-degna-di-nota-per-altri-motivi versione di My Way di Sid Vicious dei Sex Pistola. E indovinate? Anche quella rifatta da Robbie Williams. Ci siamo capiti.)
Se poi voleste ridere, a proposito di punk, c’è Punk Rock 101 dei Bowling For Soup, band pop-punk americana, che nel loro brano irriverente citano sia Bon Jovi che Tommy e Gina. E ci mettono pure il talkbox. Vedete voi se approfondire o meno.]
In buona sostanza, It’s My Life è un inno alla vita, una sorta di rifacimento di My Way rivisitata nell’epoca di Matrix e dei modem e dell’eccitazione dell’online (quando non lo davamo per scontato, quando non ci stressava e anzi, ci eccitava. Presente?). Rilancia Bon Jovi nel radar delle band mondiali ancora rilevanti dopo decenni di carriera, e anche che se non riusciranno mai più a bissarne il successo, questo brano gli consentirà una nuova vita, fatta di dischi più o meno riusciti; menzione d’onore per Crush, l’album che la contiene: ha un sacco di pezzoni di cui discuterei per ore, ore e ore — ma adesso è tardi. Anche perché la prossima settimana, come #1, avremo Vamos A Bailar. Forse agli italiani piacevano i pezzi che parlavano della vita — forse è l’inizio di una strada da cui non c’è ritorno: quella che porta dritto dritto a tormentonilandia.
LE PAGELLONE
It’s My Life è un 10.
My Way è un 100.
Livin’ On A Prayer è un 10.
You Give Love A Bad Name è un 9.
Bed Of Roses è un 8.
I’ll Be There For You è un 6.
Always è un 10.
Livin’ La Vida Loca è un 10.
One Wild Night è un 7.
Punk Rock 101 è un 8.
Bon Jovi 🔥