#1, 2002: OASIS — STOP CRYING YOUR HEART OUT
Numeri Uno, giugno 2002. OASIS — STOP CRYING YOUR HEART OUT
Numeri Uno è la rubrichetta che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli.
Qui trovate l’elenco di tutte le Numero Uno commentate, anno per anno, in continuo aggiornamento
Una delle domande a cui è difficile dare una risposta se ci si interroga costantemente sui perché della musica, specialmente quella popolare, è perché mai un artista cerchi di cambiare se quello che fa funziona.
La risposta ovviamente va cercata nelle ambizioni artistiche di alcuni, nel seguire le mode per restare rilevanti il più a lungo possibile di altri. Discutendone l’altro giorno con un songwriter di cui ho molta stima lui se n’è uscito con una frase abbastanza immacolata: «Se sei Babbo Natale, e sei famoso per essere Babbo Natale, e sei bravo a essere Babbo Natale, perché dovresti travestirti da qualcos’altro?» Ecco, qui dentro c’è più o meno tutto quello che si può dire su un sacco di artisti. Se la tua natura è una, e la tua inclinazione è quella, devi assecondarla. E mica solo per una questione di mercato, perché il mercato è volubile e sa quello che vuole e quando non lo vuole più se ne accontenta finché non gli dai qualcos’altro — ma quel qualcos’altro è in mano a pochi illuminati, spesso newcomer. Non tutti sono Bowie o i Beatles, in grado di reinventarsi prendendo sempre il massimo dei voti, facendo scuola, storia, leggenda: c’è chi è bravo a fare una cosa e quando la fa non ce n’è per nessuno. D’altro canto, anche a restare fedeli a se stessi, s’incappa sempre nel: perché non c’è mai un’evoluzione? Perché fare dischi sempre uguali, con gli stessi temi e le stesse sonorità? Perché non cercare di spingersi oltre? La questione è indubbiamente controversa, e al netto delle ambizioni che tante volte somigliano alle velleità, c’entrano anche i limiti.
Per dire, come avrebbe mai potuto evolversi un progetto come quello degli Oasis? Nel 2002 suonano identici a come suonavano nel 1994, certo con più esperienza e meno fotta, più soldi e meno tematiche interessanti, più litigi e meno spontaneità. Le classifiche, però, non rispecchiano sempre la qualità dell’offerta, e l’Italia in questo è maestra. Pur essendo un secondo singolo, Stop Crying Your Heart Out s’infila tra i tormentoni e i tormentini del 2002 — vedi Alizeè e i The Calling — con la forza di una fan base sempre devota ai suoi dei, ma anche con la potenza di una ballad oggettivamente incontestabile.
Scusa, ma tu dov’eri quando parlavamo di Alizeé e dei The Calling? Recuperateli aggratis qui sotto:
Gli Oasis e gli U2 sono gli unici, in questi anni di Canzonette che abbiamo visto dal 1997 al 2002, in grado di far muovere le masse e fargli comprare sempre una nuova uscita. E non c’entra solo il collezionismo; è qualcosa di più simile all’idea di fandom che si svilupperà a metà anni dieci, quando orde di teenager ossessionati renderanno perennemente re della classifica la boyband di turno, dagli One Direction ai BTS. In questo caso, la devozione è (come quasi sempre accade) una faccenda molto italiana: in Uk la band ha stancato e le classifiche lo dimostrano, con rendimenti sempre più instabili e legali meno all’hype e più alla legacy che hanno creato negli anni di carriera. (Per dire: un’impressione è che ormai gli Oasis facciano dischi solo per giustificare l’headlining di Glastonbury). La penna di Noel Gallagher — come abbiamo visto nel singolo apripista del disco, la tremenda The Hindu Times — è stanca e ormai ripetitiva; a salvarlo sono quei guizzi quasi sempre riservati alle ballad, dove il nostro dà il meglio di sé.
Scusa, ma tu dov’eri quando massacravamo The Hindu Times? Recuperatelo aggratis qui sotto:
Potremmo considerare Stop Crying Your Heart Out la penultima grande canzone degli Oasis, e non avremmo torto. (Non sorprendentemente l’ultima sarà, nel disco successivo, un’altra ballad). Se poi sia morto prima il britpop o la penna di Noel e quanto le due cose siano andate di parti passo è una faccenda che meriterebbe un approfondimento infinito, che ha a che fare con le mode, con le condizioni musicali e socio-politiche in cui gli Oasis si imposero a metà degli anni 90; quello che ci rimane qui è uno degli ultimi (buoni) sorsi di un vino ormai sempre più annacquato, dedicato sempre più solo ai fanatici e sempre meno alle masse. Ma poco importa se il format ballad emotiva in minore a 76 bpm è molto caro a Gallagher: qui gli riesce particolarmente bene.
Così bene che, nel 2009, Leona Lewis — fresca vincitrice di X Factor Uk in un momento storico in cui X Factor Uk non soltanto è un format tv che sforna puntate viste da milioni di spettatori, ma anche popstar — decide di farne una cover per inserirla nel suo primo disco, Echo. Del genio malefico che è Simon Cowell potremmo parlare per ore, e ne avremo modo nel momento in cui, sia da noi che in Uk, il suo format imporrà in classifica un sacco di gente, anno dopo anno; sull’usanza di prendere pezzi rock e trasformarli in una versione karaoke per le masse, per le mamme, per tutti potremmo aprire un dibattito, che si concluderebbe molto probabilmente in: una porcheria davvero geniale.
(Ora, io ho grande rispetto per Leona Lewis, perché cantare un pezzo come Bleeding Love ti consegna alla storia del pop senza discussioni, ma ho sia mia figlia che la mia compagna che dormono e non possiedo in me nessuna intenzione di alzarmi per recuperare delle cuffie e riascoltare la sua versione per darle un giudizio. Siete indiscutibilmente brave persone se siete qui: quindi, se proprio avete del tempo da buttare, ascoltatela voi e ditemi se ne valeva la pena). (Per darvi un’idea dell’irrilevanza extra-europea degli Oasis, il brano verrà rimosso dalla versione USA del disco di Lewis).
LE PAGELLONE
Stop Crying Your Heart Out è un 10.
The Hindu Times è un 4, ma questo lo sapete già perché l’avete letto nella rubrichinoìa a lui dedicata sopra.