Numeri Uno è la rubrichetta che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli.
Qui trovate l’elenco di tutte le Numero Uno commentate, anno per anno, in continuo aggiornamento.
Ho sempre voluto bene agli Oasis, pur senza amarli mai profondamente: sono stati con me in tantissimi pomeriggi in cui mettevo su Be Here Now e ci schitarravo sopra in cameretta, sognando di suonare a Wembley con una Gibson costosa e appariscente come quella di Noel Gallagher, invece che con una chitarra da cento euro che a malapena stava accordata. La loro compagnia ha avuto per me un grande valore, e per questo gli sarò sempre grato e pieno di rispetto nei loro confronti. Come tutti quelli che hanno a) un cuore e b) una chiara visione della musica moderna, al netto della nostalgia, sono felice della loro reunion. [P.S. il giorno in cui scrivo queste parole è quello precedente all’annuncio degli Oasis del 27 agosto 2024. La reunion degli Oasis è stata un miraggio per quindici anni, sempre agognata dai fan tanto quanto allontanata dai diretti interessati che quasi come passatempo battibeccavano via internet, rendendolo anche il passatempo di noi altri.]
Tutto questo, però, non rende in alcun modo The Hindu Times meno brutta: lo è sempre stata e lo è ancora oggi nonostante l’illusione che i Bei Tempi Andati fossero migliori.
È una schifezza The Hindu Times e lo è più per quello che rappresenta in pieno: il periodo Autopilota della band. La penna di Noel Gallagher è ormai stanca e probabilmente annoiata, e si sente — soprattutto quando la band ha bisogno di un uptempo per aprire il ciclo di un disco nuovo.
Del resto gli Oasis erano partiti come gli outsider, l’alternativa allo star system del music business, per poi ritrovarcisi inglobati senza possibilità di scampo. La droga, sì, i soldi, anche, ma soprattutto la classe sociale: per una band che parte del basso, che parla del vivere nei bassifondi della società sognando il cielo e la gloria eterna, che fa delle sue origini un manifesto e che parla a tutti quelli come loro diventare parte del sistema crea un cortocircuito non da poco. (È la stessa sindrome che colpirà molti rapper quando il genere diventerà mainstream una decade dopo). Se scrivi tutte le (tue migliori) canzoni su quanto la vita faccia schifo sognando di scappare e si quanto sia difficile cavarsela, cosa potrai mai scrivere una volta che avrai cambiato totalmente stile di vita?
Heathen Chemistry, il disco che The Hindu Times ha il compito di anticipare, è l’album di una band che ormai fa i dischi per portare in giro live la propria discografia mastodontica, condendola di nuove proposte che quando va bene il più delle volte rasentano la sufficienza. Tutto sommato Heathen Chemistry è il-disco-brutto-più-decente dei dischi brutti degli Oasis, contenendo al suo interno un pezzo clamoroso e due buoni (Songbird e Little By Little; inutile dire che il capolavoro assoluto dell’album sia il secondo singolo, Stop Crying Your Heart Out); il resto è, appunto, rock’n’roll col pilota automatico.
La stessa The Hindu Times, che Noel titola così perché vede in un newstand il giornale indiano e pensa che il suo nome sia ottimo per una canzone (che non ha naturalmente niente a che vedere né con l’India né coi giornali), è una canzone anonima, con un testo anonimo — o meglio, ancora meno del solito per gli standard oasisiani — e un riff anonimo — nonostante sia stato rubacchiato dai compari di britpop Stereophonics. L’ecosistema del britpop si è sgretolato sotto ai piedi di tutte le band che ne facevano parte con l’arrivo del nuovo millennio, e come già sembrava chiaro a tutti non sarebbe sopravvissuto quasi nessuno — i Radiohead, campionato a parte, avevano però già saggiamente abbandonato la nave; l’altra Grande Eccezione è una band che ha appena cominciato e sarebbe potuta benissimo diventare i Travis, ma finirà per diventare gli U2: i Coldplay. Ai fan sembra non importare granché: piuttosto che la schiera di boyband e l’ondata del nuovo pop americano-ma-di-matrice-svedese, meglio la chitarra svogliata di Noel e la voce annoiata di Liam che tentano di rifarsi a Rain dei Beatles senza lo stesso tipo di approccio geniale.
The Hindu Times è, in sostanza, un’altra #1 per la band mancuniana che passa alla storia (delle classifiche) senza fare la storia. Non è la prima, e non sarà l’ultima. (Qui sotto, tutte le altre volte in cui gli Oasis sono stati al #1 dei singoli italiani).
LE PAGELLONE
The Hindu Times è un 4.
Songbird è un 7.
Little By Little è un 7.
Stop Crying Your Heart Out è un 10.
Rain è un 8.