Numeri Uno è la rubrichetta che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli.
Qui trovate l’elenco di tutte le Numero Uno commentate, anno per anno, in continuo aggiornamento.
ANTEPRIMA / DISCLAIMER
Stando a Bologna per qualche giorno ho capito che Bologna è la capitale italiana del Britpop. Per le strade risuona sempre, dalle radio o dai busker, un brano di Cremonini; nei taxi o si ascoltano i Beatles o gli Oasis; e in effetti è normale sia così, dato che gli adulti di adesso sono i ragazzi di ieri, e gli adulti che adesso ascoltano nostalgicamente gli Oasis sono i ragazzi che ieri acquistavano compulsivamente i dischi degli Oasis. Anche quando non erano belli, anche quando avevano perso la forma degli inizi. Non è la prima volta che succede e non è l’ultima volta che succederà: in Italia gli Oasis sono una religione dove il fan può scegliere quale Dio venerare, che sia Liam o Noel. L’importante è venerare. E ascoltando Wonderwall o qualunque capolavoro di McCartney mentre il mio taxi sfrecciava verso la stazione, col tassista prontissimo a fingere che non gli prendesse il pos con una prova attoriale degna di Via Zanardi 33, pensavo: tutti i santi giorni dovremmo essere grati alla musica. Alla musica meravigliosa che ci sistema le anime nelle giornate complicate, che trova le parole per noi quando ne siamo sprovvisti, che ci fa scattare foto mentali dei momenti più speciali, eccetera eccetera. So che ci sono un sacco di fan degli Oasis iscritti a questo Substack, e lo so perché a) buona parte di chi segue queste pagine è cresciuto negli stessi anni miei, e quindi i fratelli mancuniani sono stati abbastanza centrali nel nostro diventare adulti e b) perché buona parte delle lamentele che ho ricevuto in privato riguardavano le chiacchiere (critiche) su Be Here Now, disco che conteneva le loro precedenti Numeri Uno italiane del 1997 e del 1998: D’you know what I mean? e All Around The World.
(Memoria corta? Tie’! Servizio Pubblico. Eccole qua.)
E insomma: tutti i santi giorni dovremmo essere grati alla musica. Alla musica meravigliosa, che però non include Go Let It Out.
Go Let It Out è il primo singolo di un disco che si preannuncia annoiato già dal titolo, Standing On The Shouler Of Giants. E se Be Here Now aveva rivelato alcuni limiti strutturali sia della band che dell’intero movimento Britpop, risulta evidente come quello fosse un disco figlio delle droghe, ma comunque un buon disco con tratti di grandezza. Dove Be Here Now era il disco delle notti brave, qui siamo davanti all’album del mattino dopo, in cui i postumi vengono ampiamente fuori. E ci troviamo davanti allo show solista di Noel, che è però uno show che ha finito di stupire.
Non è una canzone brutta in assoluto, come non è una canzone bella in assoluto. È una canzone media — figuriamoci se la consideriamo parte della (inizialmente gloriosa) discografia degli Oasis. Go Let It Out gode della scia della fama della band, e la sua fortuna si appoggia sulla loro immensa fan base, che sia in Italia che in Uk si catapulta sul singolo spedendolo in vetta alle chart. (Da noi per due settimane: comunque molto meglio che quella noia di Lene Marlin o di quell’equivoco del nuovo singolo degli Aqua, che la precedettero nelle ultime settimane di gennaio 2000).
MUSICA, MAESTRO
Qualcuno osò imputare la non riuscita del singolo, e dell’album, all’equilibrio precario all’interno del gruppo, che subì le defezioni di Bonehead e Guigsy, rispettivamente chitarrista e bassista. Ma gli Oasis, alla fine della fiera, sono sempre stati i Gallagher, e i Gallagher sono due entità che si completano e si distruggono contemporaneamente, in un caso psicologico da manuale, ma anche da studiare negli annali.
Gallagher (Noel) per presentare il brano dice che secondo lui è il brano che più si avvicina all’idea di Beatles moderni, e va a finire che uno pensa che hanno ragione quando fanno quelle tremende campagne antidroga che ti ricordano che queste sostanze fanno male e ti spappolano il cervello. Del resto, a causa delle scissioni internet della band, Noel registra praticamente tutto ciò che non siano le batterie sul pezzo, avendo quindi la classica Sindrome Di Mancata Lucidità. (Le linee di basso di Go Let It Out sono tuttavia gloriose, e infatti il basso è mixato in modo insolitamente alto da Spike Stent, qui produttore e mixing engineer, e quando in fondo leggerete le pagelle ricordatevi che 3 punti di quel voto assegnato a Go Let It Out sono dovuti alle linee di basso).
PAROLE, MAESTRO
Una cosa che mi ha sempre sorpreso del testo è che, in mezzo allo vaneggiamenti tipici di Noel — che non è mai stato un Lyric King, ma ha sempre avuto un grande orecchio per dei grandi concept — c’è un grande ritornello a livello testuale. Cito: «Is it any wonder why princes and kings / Are clowns that caper in their sawdust rings? / Ordinary people that are like you and me / We're the keepers of their destiny.»
Wow. Oh, profondo per essere il ritornello di una canzone pop, no? C’è la denuncia, la protesta, la rivolta contro il sistema, c’è una chiara voglia di evitare i più canonici temi amorosi per dire qualcosa di più, e c’è anche un grande fraseggio. Solo che nel 2000 internet c’è, ma non esiste: non pensate, voi che non c’eravate, che ci fosse Google, o che esistesse Wikipedia, o Genius; stiamo parlando della preistoria. È come se comparassimo la Tesla al carro di quando hanno inventato la ruota: certo, sono due mezzi di trasporto, ma nettamente diversi. Ecco, quell’internet era il carro, forse iniziava a essere qualcosa di più, ma di sicuro non c’era modo di scoprire come ho potuto fare oggi con due semplici click che quella parte di testo è in realtà zanzata a piene mani (anche se oggi ti direbbero che, hey!, è Una Citazione!) da una poesia di R.L. Sharpe. Però rimane questo grande beat di batteria, no? È un loop. Un loop di Johnny Jenkins, di I Walk On Gilded Splinters.
Sapete che altro pezzo prende le batterie da qui? Loser di Beck. E Pass The Mic dei Bestie Boys. Che compagnia.
Canzoni che, invece, non figurano come sample ma che Noel si affrettò a citare come pura ispirazione senza neanche girarci troppo intorno, sono invece ‘Dry The Rain’ (nell’intro) and ‘Inner Meet Me’ (nel riff) dei The Beta Band.
Tornando, purtroppo, a noi: apprezzabile il mellotron nei ritornelli, quello sì una mossa assolutamente Beatlesiana. In generale fa un po’ ridere come i vari “2-3-4” e “feel the bass” parlati da Noel e inseriti del brano dànno una (finta) idea di band, quando in realtà si tratta fondamentalmente di uno show solitario, a malapena accompagnato dal Liam Gallagher in piena modalità auto-pilota.
IN SINTESI
È una brutta canzone? Non lo è. È poco ispirata? Lo è. Cosa la salva? Il contesto. Perché la crisi creativa di Noel è ampia, come dimostra l’intero album è il tragico secondo singolo Who Feels Love con le sue atmosfere psichedeliche, e ha un solo episodio realmente degno di nota: la tristissima Sunday Morning Call cantata da Noel, canzone per cui ancora oggi rimpiango di non aver avuto i soldi per comprarmi il singolo, che aveva un bell’artwork, e soprattutto un buon pezzo.
Ma una ballad è troppo poco per risollevare le sorti di un disco, figuriamoci di un’era intera in fase calante, e i fan iniziano ad accorgersi che i loro eroi non sono più quelli di una volta. Ora ne vedono i difetti, amplificati anche dal giro di boa del mainstream che ha scoperto dei nuovi supereroi — le boyband e le popstar — progetti in genere molto più malleabili rispetto a Blur e Oasis. Non era finito il britpop, peggio: gli era drasticamente cambiato il mondo intorno. Era definitivamente svanito il momento magico in cui tutto ciò che accadeva ai membri delle band si trasformava in una notizia, e la novità si era trasformata in qualcosa che ormai era ampiamente stata masticata, digerita e risputata dal sistema.
Nel 2000 gli Oasis sono ancora gli indiscussi re del britpop. Il problema è che siedono su un trono che non ha più la stima del popolo, solo dei fedeli cortigiani troppi pigri per abbandonare il palazzo reale.
LE PAGELLONE
Wonderwall è un 10.
All Around The World è un 8.
D’You Know What I Mean è un 8.
Go Let It Out è un 6.
I Walk On Gilded Splinters è un 6.
Pass The Mic è un 7.
Loser è un 10.
Sunday Morning Call è un 7.
You had me at Via Zanardi,33