#1, 1998. SAVAGE GARDEN — TRULY, MADLY, DEEPLY
Numeri Uno, maggio 1998. SAVAGE GARDEN — TRULY, MADLY, DEEPLY
Numeri Uno è la rubrichetta che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli. È la cugina di quella americana di Tom Breihan, che è la cugina di quella inglese di Tom Ewing.
Nel maggio 1998 è tutto pressoché meraviglioso: in tv ci sono i Telegatti; sta per ricominciare il Festivalbar (senza la cassa dritta); io sto parcheggiato a casa dei miei nonni, dove mia nonna scopre quello che succede nel mondo su Tv Sorrisi e Canzoni e io scopro quello che succede nel mondo da Mtv.
Select è il nostro social network ante litteram, il nostro critico di riferimento, l’amico che ci consiglia cosa ascoltare, così va a finire che il mio walkman riceve una nuova cassetta da consumare: il disco d’esordio dei Savage Garden.
Prima di vendere qualcosa come 23 milioni di dischi, i Savage Garden si formano negli anni 90 in Australia, a Brisbane, tramite un annuncio su un giornalino messo da Daniel Jones. La sua band Red Edge cerca un cantante. Sapete quante risposte arrivano? Una. Da Darren Hayes. Clamorosamente Hayes viene scelto, si unisce ai Red Edge, ma ben presto lui e Jones decidono di staccarsi e creare un duo. Scrivono canzoni, registrano un demo, ne spediscono più di 150 copie, ricevono altrettanti rifiuti. (Che gli anni 90 siano anni di meravigliosi sprechi lo capisci dal fatto che le case discografiche stampassero e mandassero lettere di rifiuto per ogni demo osceno che arrivasse). A un certo punto trovano però un manager, John Woodruff, che come nelle storie più sensazionali crede così tanto nel progetto che ipoteca la propria casa per finanziare il disco dei due. I Want You, il loro singolo di debutto in territorio australiano, raggiunge la Top 5, sbanca il botteghino, diventa l’esordio dell’anno — e questo fa sì che circa 150 discografiche si pentano immediatamente di averli rifiutati, per poi lanciarsi in grandi offerte.
I Want You è un irritante brano synth-pop, e lo dico da — e lo capirete ben presto — iper sfegatato fan dei Savage Garden: un po’ Duran Duran, un po’ Tears For Fears, e soprattutto un po’ Roxette, in cui Hayes un po’ parla, un po’ quasi rappa, ma soprattutto scrive una strofa che dice «Sweet like a cherry cola». Rosie O’Donnell — famosa conduttrice tv statutitense di cui l’Italia è però sfornita di un corrispettivo con cui paragonarla essendosi distinta per essere una forte promotrice dei diritti LGBT — la inserisce nella sua trasmissione e il brano esplode anche negli Usa, pur non avendo i Savage Garden ancora una discografica in America.
I Want You parla di un sogno di Hayes, in cui s’innamora di un maschio, ma tra che Hayes è sposato e che sono pur sempre gli anni 90, la versione ufficiale delle interviste è che il brano parla di «un sogno in cui ci si innamora di un’energia maschile». Vabbè.
In tutto questo, i Savage Garden ancora non hanno visto un euro; vivono in due in un monolocale, e Hayes sente fortemente la mancanza della moglie. Per questo, o forse inconsciamente memore del fatto che gli up-tempo servono a farsi conoscere e le ballad per rimanere nel cuore della gente, scrive Truly, Madly, Deeply, anche se la ritiene una mediocre canzoncina d’amore, e pensa dovrebbe essere una bonus track del loro album d’esordio. Ma le mediocre canzoncine d’amore sbancano il mondo!, avrà pensato Charles Fischer, produttore del duo, che insiste per produrla. Quando il pezzo esce in Australia, arriva primo in classifica.
Il video originale è in bianco e nero, Hayes ha ancora i capelli lunghi, e il brano è arrangiato con una drum machine drammaticamente brutta, a causa della quale dei discografici attenti realizzano che la canzone non potrebbe mai funzionare in Usa: per questo, fanno quello che nei 90s gli riusciva meglio: ordinano che si faccia un remix e un nuovo video (e un nuovo artwork).
Nella sua versione con cui è nota in tutto il mondo, nel cui nuovo video cui Hayes gironzola per Parigi, Truly, Madly, Deeply è un capolavoro di semplicità e buon gusto. Musicalmente prosegue il filone easy-listening perfetto per le radio, per le compilation di San Valentino (non ridete: esistevano e se ne vendevano a decine di migliaia); è una canzone armonicamente semplicissima ma efficace, arricchita dai falsetti di Hayes e da vaghi inserti di chitarra classica sul finale. Come valeva per i Lighthouse Family con High, il bello di questi anni è che non servono stylist, outfit bizzarri, fuochi pirotecnici, strategie di marketing estreme o interviste controverse: la forza sono le canzoni.
(Menzione d’onore per i grafici australiani, che avevano reputato quella che vedete qui sopra una foto/grafica/artwork degno di rappresentare questa dolcissima canzone d’amore: tutto d’un tratto viene da rivalutare quella europea, che sembrerà uno spot di occhiali, ma quantomeno non fa trasecolare l’idea di estetica che alberga in ognuno di noi amanti della cultura pop). Dal disco, omonimo, vengono estratti all’incirca altri settecento singoli (sette solo in Giappone), il cui più notevole è sicuramente To The Moon And Back un gran pezzo, anche solo per contenere una frase come If love was red then she was colourblind.
La voce di Hayes, che alterna magistralmente la sua head voice a un falsetto che trasuda gli ascolti di gioventù (Michael Jackson e George Michael) suona radiofonicamente perfetta, ed è il grande filo conduttore della produzione del duo. Tutto il mondo li reclama, li pretende, li nomina a qualunque award. Savage Garden vende 12 milioni di copie. Truly, Madly, Deeply arriva persino #1 in Usa nella chart di Billboard. Arrivano anche proposte per due colonne sonore: una è Se Scappi Ti Sposo, con Richard Gere e Julia Roberts, l’altra è il film The Other Sister: anni dopo, Hayes ci scherzerà su dicendo «abbiamo scelto il film che ha floppato». (Sono una delle sette persone al mondo che possiede il cd singolo di The Animal Song, comprato d’importazione al Virgin di piazza Duomo, e posso garantire che ciononostante The Other Sister è un film che non ho mai né visto né avuto l’istinto o la curiosità di guardare).
The Animal Song è anche il primo incontro della band con Walter Afanasieff, genietto e fedele compagno d’avventure di Mariah Carey e che abbiamo già incontrato come producer della Canzone Che Non Avrebbe Dovuto Esiste per antonomasia del 1998, My Heart Will Go On. È lavorandoci che la band decide di affidargli la produzione del secondo album. Qualcosa, però, non va all’interno del duo. Daniel Jones non è felice: si è reso conto che fare la popstar non gli si addice, che i tour lo annoiano, si sente sprecato a suonare la chitarra e basta. Lui e Hayes raggiungono un compromesso: finirà la promozione del nuovo disco, Affirmation, e poi i due si scioglieranno. (Perché parlo di Affirmation se uscirà nel 1999? Perché purtroppo l’Italia non premierà più i Savage Garden con una Numero Uno, ma soprattuto perché ci sono degli aneddoti di cui mi va di ciciarare, e quindi tanto vale condividere tutta ‘sta conoscenza accumulata sui blog e sulla fan page per anni proprio qui e ora.) Affirmation, secondo e ultimo capitolo di quella che è forse la più discografia lampo più breve e al contempo più di successo della storia, è un Signor Disco Pop, che rientra di diritto tra i dischi più sottovalutati degli anni 90. La band finisce le registrazioni, emozionata di aver confezionato un gran bell’album, ma in Columbia non sono convinti: manca la hit. C’è un decennio specifico in cui parte quest’idea, in discografia, di dire sempre agli artisti che manca la hit, per spronarli, come se le hit fossero fabbricabili mettendoci un po’ di testa e impegno in più. Il fatto bizzarro è che Hayes e Jones s’incazzano con la Columbia e, mezzi indignati, si fiondano in studio e in dieci minuti scrivono una cosa che poi portano a Afanasieff.
Quella cosa, nonché la loro idea di ribellione dei confronti della discografica, è I Knew I Loved You, che sarà la loro seconda #1 in America, ma soprattutto uno dei video iconici di quell’anno, con una presto-famosissima-grazie-a-Spiderman Kirsten Dunst.
(Ci avete fatto caso ai colori dei video degli anni 90? A quella patina da storia della musica di cui si colorava Mtv? Ci avete fatto caso, pressoché ogni volta che c’è un video di quest’epoca, a quanta cura ci fosse nelle sceneggiature, nelle idee, nelle produzioni dei videoclip? Chiaro, Mtv era un medium nonché un partner fondamentale nel veicolare i brani, quindi l’estrema cura nel confezionare video estremamente efficaci era fondamentale. Ma guardare oggi un video come quello di Crash And Burn, secondo estratto di Affirmation, che si chiude con Hayes che invece di cantare l’ultimo ritornello usa la LIS, mi forma una stretta al cuore molto simile alla nostalgia).
È più o meno qui che i Savage Garden si sciolgono, Jones sparisce dai radar e Hayes inizia una discografia solista tortuosa ma anche estremamente artistica. (In breve: Sony gli sconsiglia di / lo obbliga a non fare coming out; l’esordio Spin non va come tutti speravano; seguirà l’elettro-pop parecchio dark di The Tension And The Spark che viene accolto tiepidamente dal pubblico ma benissimo dalla critica: è un disco clamoroso, come conferma il primo singolo Pop!ular — questa sì una canzone in cui Hayes si scaglia contro gli stereotipi impostigli dalla discografica —, ma soprattutto l’album track Unlovable, forse il testo più bello della sua discografia; Hayes viene droppato dalla Sony, e inizierà a rilasciare i propri dischi sulla sua label indipendente).
Ci sarebbero molti altri pezzi della discografia solista di Hayes da segnalare, da quelli inclusi nel doppio concept album This Delicate Thing We’ve Made in poi, ma tolta l’Australia e il Regno Unito, che ha sempre abbracciato il suo talento, il suo nome è negli anni scomparso dai radar, restando quello di questa canzone gigante, sobria, elegante, a suo modo emblema del pop di fine anni novanta.
ALTRE COSE
Se volete piangere per una cosa brutta, c’è la cover euro-pop? Gabber? Pseudo-techno? di Cascada, che la rende tremenda uccidendo tutta la poesia.
E per compensare, se volete piangere per una cosa bella: un branco di hooligans con le pinte in mano cantano (e a tratti armonizzano pure) Truly, Madly, Deeply per un (glorioso) spot Puma di San Valentino di qualche anno fa. È il bello del pop, e la sua forza sta tutta qua: ognuno ci vede, ci sente e ci ritrova quello che gli pare. Persino la propria squadra di calcio.
LE PAGELLONE
I Want You è un 5.
Truly, Madly, Deeply è un 10.
To The Moon And Back è un 8.
The Animal Song è un 9.
I Knew I Loved You è un 10.
Crash And Burn è un 9.
Pop!ular è un 10.
Unlovable è un 10.
Truly, Madly, Deeply di Cascada è un -5.
Truly, Madly, Deeply degli Hooligans è di una bellezza difficilmente quantificabile.