Numeri Uno è la rubrichetta che si occupa di tutte le canzoni che sono finite alla prima posizione della classifica italiana dei singoli.
Qui trovate l’elenco di tutte le Numero Uno commentate, anno per anno, in continuo aggiornamento.
I’M SICK OF YOU LITTLE GIRL&BOY GROUPS, ALL YOU DO IS ANNOY ME
Sono da subito stato un grande fan di Eminem, anche se mi divertiva tanto quanto mi scocciava quando prendeva in giro le boyband. Sono sempre stato e sempre sarò uno dei più grandi, anzi, il più grande fan delle boy & girl band che conosco. Un po’ perché nessuno ammette mai di ascoltarle, o di averle ascoltate, di averne comprato i dischi, di averne squarciagolato le canzoni fino all’ultima parola come fossero sempre state parte del nostro dna; un po’ perché per ammettere di amare, o avere amato, qualcosa così oscenamente e platealmente pop serve una grande dose di onestà intellettuale.
E non ce l’ha quasi nessuno che conosca.
Io, per esempio, non mi vergogno di dire che un mesetto fa mi trovavo a Nashville per lavoro e in uno di quei posti che solo gli americani sono capaci di concepire e realizzare in modo estenuantemente bello — cioè i thrift shop — ho trovato il pupazzetto di Justin Timberlake dell’epoca degli *NSYNC, quello del video di It’s Gonna Be Me, e l’ho comprato. (37 dollari, mortacci sua. C’erano anche gli altri, ma mica tutti — ne mancava uno che non sono riuscito a identificare, e tutto questo un mese prima della loro — deludente — reunion. Mica potevo saperlo, o forse avrei comprato anche gli altri e ora sarei milionario su un’isola. Ma comunque.)
(Che pezzo era It’s Gonna Be Me? Prima #1 in Usa per loro, tra l’altro. Scusate. Dicevamo.)
Quando mi stavo formando come essere umano, le boyband erano quello che trovavi ovunque, da Mtv agli scaffali dei negozi alle radio (anche se meno del resto, essendo un medium notoriamente rivolto poco agli adolescenti e più agli adulti incazzati nel traffico). Dire che sono un fan è forse, analizzando meglio la cosa, riduttivo: io le boyband le amo. Mi smuovono qualcosa dentro che poche altre cose mi smuovono, oserei dire quasi alla pari del punk. (Il punk m’ha colto nell’adolescenza, m’ha preso per mano e guidato tra gli adulti, mi ha insegnato a essere quello che volevo essere, a non cedere al compromesso, al dare un valore all’integrità e al seguire le inclinazioni del proprio essere, e tante altre cose che magari un giorno approfondiremo nelle sedi opportune). Il pop di fine anni novanta mi ha plasmato il gusto e mi ha spiegato cosa mi piaceva: la melodia che ti trapana il cervello al primo ascolto; l’armonia ripetitiva ma intelligente; gli hook che si ripetono; le batterie programmate che picchiano come Mohammed All incazzato nero; i cori armonizzati e mixati alti; la tensione e il rilascio. Insomma, se Max Martin non potesse essere il padre musicale / spirito guida / figura di riferimento della mia esistenza allora non saprei a chi altro affidare questo ruolo.
Tutta questa premessa è utile un po’ perché è sempre soddisfacente fare il punto su chi sono, e un po’ al fine di pararmi il culo prima di essere tacciato di non capirci nulla quando dirò quello che sto per dire: Pure Shores è sempre stata una canzone che non mi ha mai mica convinto del tutto.
Lo so, lo so. Ma le All Saints rappresentano uno dei pochi esempi di girlband raffinata! Si distaccavano dal pop plasticoso e colorato che le contornava!
Le conosco queste teorie, ci ho vissuto pur’io nei forum, e per anni, ma che volete farci? A me piace il pop di plastica, perché è un tipo di arte così difficile da creare, così complesso nella sua architettura per poter sembrare semplice e facilmente assimilabile. E mi piacciono le boy/girl band colorate, perché mettevano allegria a fine anni novanta. Le Spice Girls? Spaccavano. I Backstreet Boys? Incredibili. I 5ive? Imprescindibili. (Qui sotto, i post che confermano che non sto mentendo — o quantomeno non in questo frangente).
Di contro, amo anche tutto ciò che è triste / dark / emo, ma quando riesce a sfrugugliarmi nelle interiora, cosa che può e sa essere l’r&b, cosa che però le All Saints non hanno mai fatto.
Sapete cosa ha detto l’altro giorno il mio Critico Musicale Di Riferimento, mentre lo sorprendevo formulare questa teoria a voce alta (teoria che se avesse esposto su un social qualsiasi sarebbe stato cancellato, mentre quando dici una cosa provocatoria dal vivo è tutto più sostenibile)? Stavamo parlando di ‘sta cosa che sto rivivendo i 2000 con un sacco di playlist, e se n’è uscito con «La cosa migliore che le All Saints abbiano mai fatto è stata scoparsi gli Oasis». Che poi è inesatta da mettere giù così, perché solo Nicole Appleton era stata la moglie di Liam Gallagher, brutto amico bifolco, mentre precedentemente era stata fidanzata con Il Più Amato Di Canzonette, Robbie Williams, un amore dal quale non nacque un figlio ma un gran pezzo: Win Some, Lose Some. Che inizia con un suo messaggio lasciato in segreteria a Robbie.
SÌ, OK, MA PARLACI DELLE ALL SAINTS
Come ormai saprete, questo Substack vive di una regola non scritta: se volete le biografie, andate su Wikipedia. Ma un riassunto, non avendole mai incrociate granché da queste parti, ve lo concedo. Le All Saints nascono in Uk, vengono firmate sulla scia del successo planetario delle Spice Girls, ma si distinguono per un suono diverso, quasi più adulto. Lo dimostra Never Ever, il loro lunghissimo secondo singolo che le porta in giro per l’Europa, facendole sbarcare anche su Mtv Italia.
Ecco, Never Ever sì che spacca, nonostante io tenda a detestare il parlato nelle canzoni. Però, che vibe. Che anima ha ‘sto pezzo?. Quelli scarsi direbbero che è un banger.
Dopo questo e altri singoli di ottimo successo in Uk e altrove, le quattro si prendono una pausa, per ritornare due anni dopo col primo singolo del nuovo progetto: Pure Shores.
Pure Shores viene aiutata dalla loro assenza dalle scene, così come dalla mira a un pubblico decisamente non teen, tanto quanto l’essere la colonna sonora del nuovo film di Leonardo Di Caprio, The Beach. The Beach è un evento perché Di Caprio è il nuovo Golden boy del cinema dopo Titanic, e quindi tutti lo aspettano al varco (so che il film è abbastanza tragico, ma per sentito dire, non guardate me: non ho tempo da perdere coi lungometraggi che non includono Hugh Grant).
È un pezzo che vive sull’onda della similitudine con quello che è accaduto poco tempo prima dall’unione di due menti geniali: Madonna e William Orbit.
I due, col disco Ray Of Light, hanno dato lezioni di pop: su tutte Frozen, indiscutibile gioiello di elettronica trip-hop e atmosfere gelide che si concretizzano in un assolo di archi, ma anche con la più stretta cugina di Pure Shoes, e cioè Substitute For Love (ditemi di no? È lo stesso beat, ma più minimalista).
Orbit in questi anni è in gran forma, e lo dimostra col beat di Pure Shores, che tendenzialmente sorregge l’intera canzone con le sue atmosfere eleganti ma decise, che aiutano a ristabilire le All Saints come una band che merita di stare non solo nelle chart, ma anche nella Musica Che Conta. Il riciclo della palette sonora che opera su Pure Shores non colpisce più di tanto per l’abbandono delle atmosfere r&b tipiche del quartetto, quanto più per l’estetica elettronica, quasi ambient, con cui si cimentano. (O meglio: con cui si cimenta Orbit, anche se le loro armonizzazioni restano abbastanza notevoli per la media delle band dell’epoca).
Pure Shores è il pezzo che fa sbancare le All Saints in tutto il mondo, e dopo averlo ascoltato settecento volte tra treni, auto, divano e marciapiedi mentre corro in farmacia a comprare il latte anti-reflusso, improvvisamente capisco il viaggio di Orbit. Poco importa se tutto sia abbastanza mandato in vacca da un ritornello estremamente cheesy e un movimento melodico molto pigro benché efficacissimo: la potenza di quello che crea come tappeto Orbit è innegabile. Il suo talento risplende anche sottomesso al gioco del pop, e a delle voci non fragili ma neanche indimenticabili.
In un’intervista abbastanza recente con Channel 4 News, Orbit parla della sua Fase Imperiale come producer pop tra fine novanta e i primi duemila. Parla anche di come abbia ideato il beat di Pure Shores dopo aver letto il libro e aver parlato con Danny Boyle che incidentalmente ne stava per girare il film e voleva una canzone. Quando il tempismo e il talento s’incontrano succede questo: Orbit cucina la base, e sapendo che è per The Beach la chiama Pure Shores.
(Una storia in netta contrapposizione con quella che racconta Lewis delle All Saints, autrice del testo. La leggenda narra che l’abbia scritto su un aeroplano, durante un volo che l’avrebbe portata proprio in studio da Orbit — ma anche che abbia poi perso il foglio, per poi riscrivere l’intero testo con alcune variazioni, e di aver pensato al titolo solo successivamente, senza essersi accorta che il titolo non viene mai citato nel testo. Qualcuno dei due mente, ma possiamo solo indovinare chi.)
Ai Brit Awards del 2001, il pezzo viene battuto in due categorie prestigiosissime come Song e Video Of The Year da — sempre lui, ma ogni scusa è buona per parlarne — Il Più Amato Di Canzonette, Robbie Williams, con Rock Dj, di cui parleremo non tanto perché l’Italia si accorgerà del suo essere capolavoro estremo nell’estate 2000, bensì perché sarà tenuto lontano dal primo posto ingiustamente, e Canzonette si schiera contro le ingiustizie a prescindere. Figuriamoci quando si tratta di Robbie.
(E già che ci siamo, mentre Pure Shores è #1 in Italia, alla #7 c’è sempre lui, solo lui con She’s The One. Sapevate che è una cover? Che lui manco voleva inciderla ma fu convinto dal suo produttore / braccio destro, Guy Chambers? Che scelta. Che pezzo. Che falsetti. Ma soprattutto: che video.
In definitiva, la virata senza grosse personalità di un bellissimo beat verso una sorta di versione Uk delle TLC nonostante il beat etereo sortisce l’effetto desiderato su milioni di persone, specialmente nella madre patria, mentre a me lascia un miscuglio di amarezza per l’occasione sprecata nell’utilizzare un tale gioiello di produzione sporcandolo con topline non all’altezza. (Una versione strumentale, probabilmente, sarebbe stata un 10). Ma alle All Saints poco importa e pochissimo deve importare: la loro griffe sul ritorno di Di Caprio viene premiata e acquistata dappertutto.
LE PAGELLONE
Win Some, Lose Some è un 8.
Never Ever è un 8.
Pure Shores è un 7.
Frozen è un 10.
Substitute For Love è un 7.
Rock Dj è un 10.
She’s The One è un 10.